Me lo ricordo ancora – come se l’avessi vissuto ieri – quel momento in cui, di fronte ad una richiesta che avevo stimato per me importante ed anche piuttosto normale un mio educatore mi ha detto senza troppi mezzi termini: “NO!”. Lo ricordo con rabbia, la stessa che è rimasta penso nella mia memoria affettiva ogni volta che mi si ripresenta la stessa situazione e la stessa risposta. A lungo andare, però, lo ricordo anche con gratitudine, perché quel “no” un pochetto mi ha fatto crescere. Non voglio addentrarmi troppo nella disquisizione tutt’ora aperta che vede schierarsi da una parte coloro che colgono nell’educazione un “lasciar esprimere il ragazzo” (Rogers e compagni) rispetto all’ala più intransigente che invece vede l’opportunità di mettere alcuni paletti per meglio fissare la rotta. Sta di fatto che in un tempo come il nostro, dove tutto ci è concesso ed anche senza troppa difficoltà, dire dei “no” è sempre più complicato, inattuale ed anche difficile.
Me ne accorgo quando alcuni genitori mi vengono a parlare dei loro figli: “Che proprio non sappiamo cosa gli stia capitando. Eppure gli diamo sempre ciò che vuole”, ma anche nella normale amministrazione dei rapporti giovanili che ho la fortuna di poter intessere fra i corridoi dell’oratorio. Il “no educativo” di per sé rompe. Di fronte alle aspettative del ragazzo, che spesso coincidono con l’idealizzazione del proprio educatore-genitore, la negazione di un permesso si rivela come qualcosa che frena l’entusiasmo e l’idea dell’educando stesso. Il “no” disorienta perché viene percepito come una mancanza di comprensione, dunque d’affetto, da parte dell’educando. Il “no” indispone perché chiama a rientrare in se stesso, a porsi la domanda di senso su ciò che è stato chiesto e su quanto è stato disposto-imposto.
In realtà tutto ciò che è stato detto dalla parte dell’educando è valido anche per l’educatore: che il più delle volte è chiamato a decidere in una fase d’urgenza ovvero in poco tempo; che sa che la sua decisione andrà a toccare alcuni tasti affettivi del pianoforte personale di cui è costituito il ragazzo, che forse non ha neanche il tempo di spiegare bene il perché della decisione presa. Forse l’errore più frequente che facciamo come educatori è di non dire il perché dei nostri “no educativi”, che se a noi risultano chiari, dalla parte dei ragazzi risultano invece violenze belle e buone.
Non è facile! Spesso le richieste che arrivano all’educatore, soprattutto da parte degli adolescenti hanno proprio lo scopo di provare la loro resistenza all’urto. Di fatto loro ci provano e se trovano un terreno fertile propongono sempre di più. A noi educatori cosa viene chiesto?Mi piace ogni volta pensare a Gesù che spiegando le beatitudini nel vangelo di Matteo ad un certo punto esordisce così: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”.
La chiarezza nel dire le cose, a volte anche senza mezzi termini, per quanto possa fare male e risultare indigesta è in realtà la virtù di ogni buon educatore-genitore, tutto il resto…lo trovano già nella nostra società.
don Alessandro Digangi fdp