Dopo elezioni – 3 / “È la Terza Repubblica, il Paese ha voglia di cambiare la sua classe dirigente”. Così il politologo Paolo Pombeni

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“Questa è veramente la Terza Repubblica”. Così Paolo Pombeni, uno dei più autorevoli studiosi della politica italiana e non solo, commenta l’esito del voto del 4 marzo. “Il dato complessivo che emerge – spiega – è quello di un Paese che ha voglia di cambiare la sua classe dirigente. Non a caso i due partiti che hanno vinto, il Movimento 5 Stelle e la Lega, sono fuori dalle filiere tradizionali. Questa voglia di cambiare è così forte che si è disposti anche a correre il rischio di qualche avventura”.

Professore, a dispetto di molte previsioni, la partecipazione al voto ha tenuto. A che cosa si deve questo dato?
Al di là dell’irrazionalità di molte proposte circolate durante la campagna elettorale, c’era la percezione di essere a un giro di boa storico e questo ha mobilitato sia coloro che volevano un cambiamento, sia quelli che invece lo temevano. Senza questa affluenza alle urne non avremmo i risultati che abbiamo di fronte.

Cinque stelle primo partito e centro-destra prima coalizione erano gli esiti che da mesi i sondaggi indicavano. Eppure il modo in cui questo si è realizzato ha avuto l’effetto di un terremoto politico.
Lo si deve al fatto che sono state superate alcune importanti soglie psicologiche. Per i Cinquestelle la soglia è stata quella del 30% dei voti. Per la Lega, quella di aver superato Berlusconi, che a questo punto risulta definitivamente fuori dai giochi. Per il Pd, la perdita della capacità di essere una delle componenti che dà le carte.

Adesso che cosa accadrà in Parlamento?
Dipende da come reagiranno i partiti che hanno vinto le elezioni, se essi si lasceranno tentare dalla voglia di strafare o no.
Se i Cinquestelle cercassero di strafare, finirebbero per costringere gli altri partiti a ricostituire una coalizione di tutti contro di loro.
In caso contrario, si aprirebbero nuovi spazi politici tutti da verificare. Così pure se Salvini non immaginasse di poter consegnare il Paese al lepenismo e si comportasse concretamente in modo diverso.

Quale governo vede possibile, con questi equilibri politici?
A meno di colpi di scena imprevedibili, mi pare che si possano considerare due ipotesi di fondo: quella di un governo di minoranza oppure, lo si chiami come si vuole, quella di un governo di tregua. Nel primo caso si tratterebbe di un governo della coalizione con il maggiore numero dei voti, il centro-destra, che in nome dell’esigenza di non lasciare il Paese senza un governo potrebbe avere l’appoggio esterno momentaneo di un altro partito. E realisticamente non potrebbe che essere il Pd. Il quale, però, porrebbe delle condizioni: per esempio, che non sia Salvini a guidare l’esecutivo e che quest’ultimo non abbia una colorazione politica troppo forte. Forse anche intorno ai Cinquestelle, in quanto primo partito, potrebbe nascere un governo di minoranza e anche in questo caso l’interlocutore non potrebbe che essere il Pd. Certo, gli esecutivi di minoranza fanno una gran fatica a governare perché devono cercare di volta in volta i voti e questo induce anche a un forte trasformismo. L’altra ipotesi a cui ho accennato è quella di un governo di tregua, non politicamente connotato, che consenta di far decantare la situazione. Non credo però che tra i suoi compiti si possa inserire anche la riforma elettorale: con questi risultati, nessun partito ha voglia di mettere mano a un’operazione del genere. Sarebbe rischiosa sia per chi ha vinto, sia per chi ha perso.

Stefano De Martis

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