Le circostanze che hanno prefigurato il clima previo alle elezioni al Parlamento catalano, giovedì 21 dicembre (giorno lavorativo e prossimo al Natale), sono davvero difficili da definire. Mai accadute prima nei quaranta anni di democrazia in Spagna. Dopo gli avvenimenti del primo ottobre, con quel tentativo di referendum poggiato su un “censimento universale” (vota dove puoi), per chiedere ai catalani se volevano l’indipendenza dalla Spagna, e l’intervento della polizia per impedirlo (immagini che hanno girato il mondo, alcune false), si sono sviluppate la dichiarazione d’indipendenza, la sospensione del governo e il parlamento autonomi, in virtù dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola, mai applicato prima, e la convocazione di elezioni al più presto possibile. Tra l’una e l’altra pietra miliare di questo singolare percorso, uno scambio di comunicati e richieste tra il governo centrale e quello regionale che resterà per gli studiosi della letteratura giuridica.
Gli effetti del “referendum”. Da allora le acque si sono un po’ calmate, ma a un alto prezzo sociale ed economico. Da una parte, le ferite inferte fino all’interno di tante famiglie, sia in Catalogna sia nel resto della Spagna, non guariranno in poco tempo. E poi, gli indicatori mostrano un’importante caduta dell’economia catalana negli ultimi due mesi, effetto in buona parte dal clima d’insicurezza provocato dalla situazione politica. Un chiaro esempio sono le oltre 3mila ditte che hanno deciso di spostare la loro sede sociale (alcune anche la sede fiscale) ad altre regioni della Spagna. Ma è anche aumentata la disoccupazione ed è diminuito il numero di turisti.
Una inedita campagna elettorale. Ecco perché il bisogno di portare “il più presto possibile” a termine la formazione di una nuova Generalitat (parlamento) in Catalogna, anche se le circostanze sono del tutto irregolari e presentano scenari da copione cinematografico. Quando si era mai visto un candidato alla presidenza fare campagna via internet da Bruxelles, come il sospeso Puigdemont? (Paradosso: dice di essere il legittimo presidente della Repubblica di Catalogna e, allo stesso tempo, partecipa alle elezioni da lui considerate illegittime). Quando si era mai visto che un carcerato potesse candidarsi (Oriol Junqueras, già vicepresidente della Generalitat)? E poi, le strane manovre giuridiche e il confronto tra giudici di organismi diversi, per definire la situazione dei politici carcerati, non in base alle loro idee (anche Amnesty non li ha riconosciuti come prigionieri politici), ma per essere causa del caos sociale e per aver disobbedito alla legalità vigente.
I sondaggi e il voto degli indecisi. In questo strano clima si è svolta una campagna elettorale su cui i sondaggi sembrano non gettare tanta luce e puntano su un possibile pareggio tra le forze indipendentiste e quelle unioniste. Anche qui, come in altre elezioni degli ultimi tempi (Usa, Francia, Olanda), c’è il sospetto che possa accadere una qualche forma di manipolazione delle coscienze via Internet allo scopo di orientare il voto degli indecisi.
La difficile posizione della Chiesa. Molte critiche ha ricevuto la Chiesa, o meglio, un settore dei sacerdoti, decisamente schierati dalla parte indipendentista. Più discreti sono stati i vescovi, e lo sono pure ora, riguardo all’impegno dei cattolici nella cosa pubblica. Un esempio lo troviamo in monsignor Joan-Enric Vives, arcivescovo di Urgell, che ha pubblicato sul sito diocesano un “invito” a “partecipare per il bene del Paese” (da chiarire se “Paese” deve essere inteso in senso ristretto, cioè Catalogna, oppure largo, cioè Spagna; dipenderà dal lettore). Tenendo conto delle “circostanze straordinarie” in cui si svolgono queste elezioni, il vescovo Vives sottolinea che si tratta di “affidare il buon governo del Paese a legislatori e governanti che dovranno organizzare e promuovere (…) delle condizioni politiche, sociali ed economiche che facilitino lo sviluppo delle persone (…) cercando sempre la pace sociale, elemento essenziale del bene comune”. Che lettura fare? Certo, non può schierarsi pubblicamente da nessun lato, e un po’ accontenta gli uni, un po’ gli altri. “Sono tanti – aggiunge – quelli che aspettano che il Parlamento scelto tra tutti e il governo che emergerà, potranno ritrovare il cammino verso una nuova e rispettosa cooperazione tra il governo dello Stato e quello della Generalitat, per ricomporre l’intesa, assicurare il bene comune di tutti i cittadini e garantire il rispetto alle legittime istituzioni dell’autogoverno, senza umiliazioni”. Cioè gli unionisti leggeranno che l’arcivescovo è d’accordo con la decisione del governo centrale convocando elezioni, e gli indipendentisti saranno soddisfatti che abbia riconosciuto l’umiliazione sofferta dalle istituzioni catalane.
Javier Rubio, direttore di Ciudad Nueva (Spagna)