Al termine di una delle più lunghe campagne elettorali – è da anni che si invocano le elezioni – domenica prossima, 4 marzo, si aprono i seggi per raccogliere le nostre espressioni di voto. Ci recheremo alle urne per il rinnovo del Parlamento – Senato e Camera – che darà vita alla 18.ma legislatura della nostra Repubblica. Con quale stato d’animo e con quali prospettive affrontiamo questo appuntamento con la nostra storia?
A distanza di una settimana dal voto, si ha l’impressione che non sia scattata nella maggior parte degli elettori la spinta per una entusiasta e speranzosa partecipazione. Al punto che fra le persone indecise e quelle che non si recheranno a votare, quasi il 40% degli elettori diserterà le urne. Perché tutto questo distacco da uno dei principali momenti della vita collettiva? È soltanto disaffezione alla vita pubblica o vi è anche delusione nei confronti di una classe politica che ha perduto ogni credibilità? Nella campagna elettorale che si sta concludendo è riemerso il vecchio, gli aspetti più deleteri della politica: le polemiche esasperate, le contrapposizioni, la demonizzazione dell’avversario e lo squallido rito delle promesse insostenibili. A volte sembra di assistere alle satire dei film di Antonio Albanese, detto “Cetto La Qualunque”, che sulla scena prometteva anche quello che non era nella sua disponibilità.
Il livello della nostra classe politica, già modesto, si è ulteriormente abbassato. Non solo per la mancanza di idee e strategie nuove per i problemi reali del Paese, ma anche per le tante dichiarazioni avventate, spesso smentite un attimo dopo. Si è avuta l’impressione che i leader interpellati sulle varie questioni non siano stati in grado di dare risposte convincenti: parlano e non dicono, pensano una cosa e ne dicono un’altra, quando, addirittura, non ne fanno una terza. Sono mancati gli elementi fondanti – su tutti, stile e contenuti – per conquistare i cittadini. Una campagna elettorale definita “spregiudicata e cattiva”, l’esatto contrario di quello di cui ha bisogno il Paese.
“L’Italia è preda di rancore, paura e razzismo: c’è qualcosa che li tiene insieme e che è più del rancore, più della paura, più del razzismo; è qualcosa di molto più micidiale”, ha detto mons. Nunzio Galantino del nostro Paese, in cui, a suo parere, “domina lo spaesamento anche tra i cattolici”. E, infatti, più che sui programmi e sulla speranza, il dibattito politico si è svolto speculando sulle paure di quelle categorie più fragili e perciò più facilmente “catturabili”. Per ogni questione sono state formulate soluzioni accattivanti e perciò difficili da realizzare, tenuto conto delle condizioni, interne e internazionali, in cui si trova ad operare l’Italia.
“È immorale – ha detto il presidente dei vescovi, card. Gualtiero Bassetti – fare promesse che si sa di non poter mantenere e speculare sulle paure della gente”. Promettere di espellere 600mila immigrati, ad esempio, sapendo che ci sono vincoli che rendono impossibile tale soluzione, fa presa sulla paura della gente, ma non costituisce un indice di serietà e di credibilità. Non meno grave è promettere di abbattere significativamente le tasse in un momento in cui l’Italia, indebitata fino al collo, deve concentrare ogni risorsa per rafforzare i modesti, ma consistenti segni di ripresa.
Anche la proposta politica è apparsa insufficiente. Se le forze di centro destra si presentano già oggi divise sui punti essenziali – leadership, Europa, immigrazione, pensioni, solo per citare i più evidenti – cosa accadrà, ci si chiede, se fossero chiamate a governare insieme? E, ancora, quale fiducia si può riporre in un movimento, i Cinque stelle, che oltre ad avere messo in luce carenze vistose nel governo di tante città, ha dimostrato di non sapere selezionare la sua classe politica? I tanti casi di malcostume scoperti fra i loro candidati contrastano con la tanto sbandierata “onestà”. Non meno grave la situazione nel centrosinistra che, assillato dal problema Renzi, considerato, a torto o a ragione, la causa di tutti i mali, trascura di evidenziare i risultati concreti anche se modesti, conseguiti in cinque anni di governo. Eppure, in queste condizioni, siamo tenuti a partecipare e a scegliere con consapevolezza. Buone elezioni!
Pino Malandrino
direttore “La Vita Diocesana” (Noto)