Elezioni USA – 2 / Incertezza e dubbi mettono in difficoltà Trump a poche settimane dal voto

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Donald Trump

L’improvvisa uscita di scena dalla competizione per la Casa Bianca del presidente Biden – il quale, così operando, ha sostanzialmente anche comunicato il ritiro dalla politica attiva dopo il 20 gennaio 2025 – ha messo in movimento un complesso di effetti, psicologici, politici, morali ed umani, che fin da subito hanno condizionato e condizionano tuttora il lungo dibattito in corso tra i due aspiranti alla Casa Bianca, Trump e Harris, in vista delle elezioni generali del 5 novembre prossimo.

Gli effetti del ritiro di Biden influenzano lo schieramento repubblicano

Infatti, sin dal 21 luglio 2024, incertezza e dubbi sul modo della prosecuzione del confronto dialettico col nuovo antagonista che ha preso il posto di Biden, sono subito apparsi ed hanno fatto capolino nell’entourage di Donald Trump. Quale priorità attribuire alla scaletta dei diversi ragionamenti tematici?
Dubbi che si sono impadroniti del gruppo dei consiglieri attorno a Donald Trump ed hanno messo notevole malumore entro il Partito dell’Elefante (Repubblicano).

Gli strateghi della campagna Repubblicana fin dalle ore successive all’abbandono della corsa del presidente in carica, si sono trovati di fronte il nuovo avversario, cioè la vicepresidente Kamala Harris. Che ha iniziato subito a “graffiare” politicamente l’antagonista, senza mezze parole o mezze misure.
Infatti, con Biden come avversario politico, alle elezioni di novembre, Trump sembrava potesse disporre, almeno secondo taluni risultati di diversi sondaggi demoscopici negli Stati – chiave, di un piccolo, ma generale vantaggio in ciascuno di essi.
Dal momento però della presentazione sulla scena politica Democratica, come aspirante alla Casa Bianca, di Kamala Harris, il piccolo vantaggio di Donald Trump nei sondaggi negli Stati – chiave è subito evaporato e la nuova condizione dei due schieramenti è quella della perfetta parità.

Confronto Trump-Harris

Un’avversaria graffiante

È stato tutto il prodotto della presenza di Kamala Harris? Con la Harris sono intanto emersi un nuovo stile ed un altrettanto diverso approccio politico. Poi ancora: maggiore aggressività verbale e più pronta determinazione politica.
Trump si è trovato dunque improvvisamente un avversario ben diverso dal compassato ed ironico Biden. Ma tutto sommato avversario più prevedibile.

L’ex presidente ha dunque ora di fronte un’ antagonista spiritosa ma tagliente. E pronta, con uno spirito più sollecito nella polemica politica. Anche se, dal lato politico, meno esperta e meno preparata rispetto a Biden.
I Democratici tuttavia con Biden apparivano in difesa. La forma esteriore, in una campagna già in perfetta parità, come quella odierna, ha indubbiamente il suo peso e muove consensi. Dal lato Democratico, l’agone elettorale ha perso in sobrietà, ma ha guadagnato maggiore visibilità e più convinta forza attrattiva. Quindi effetti psicologici, anzi veri e propri contraccolpi psicologici, prodotti in campo Repubblicano, dalla nuova aspirante o contendente, cioè la vicepresidente Kamala Harris.

Gli effetti, tra i Repubblicani, del ritiro dell’Esecutivo del ’68

Nell’attuale campagna, il mutamento in corsa, in casa Democratica, del leader antagonista sembra premiare – al momento e in base ai sondaggi – il Partito dell’Asinello (Democratici). Non perdiamo di vista però che si tratta pur sempre di una gara in perfetto equilibrio.
Nel 1968, le condizioni politiche erano sensibilmente diverse. Gli effetti della rinuncia alla corsa dell’Esecutivo in carica furono tutti sostanzialmente di natura solo politica.
Intanto oggi, Trump ha potuto godere, come abbiamo anche constatato, di una corsa politica a sé. Senza avversari, nelle “Primarie”.

Kamala Harris
Kamala Harris

Allora, nel ’68, invece, in quell’agone elettorale, i Repubblicani combattevano al loro interno. La lotta attraverso le “Primarie” si dilungò in un duello tra Nixon e Rockefeller. Contesa molto aspra, vinta alla fine da Nixon. In quelle circostanze, gli effetti politici della rinuncia alla ripresentazione dell’Esecutivo in carica furono la messa in sordina e la collocazione sotto silenzio. Fino alla Convenzione del Partito Repubblicano che designò proprio Nixon, di uno scottante argomento che era appunto il modo ed il mezzo per portare la pace in Vietnam.

Quindi differenze fondamentali tra i Repubblicani di oggi e quelli di allora, nelle due diverse, combattute, gare politiche. Poi è pure da considerare un altro dato: dal 1968 ad oggi, la base dei rispettivi consensi dei due Partiti, Democratico e Repubblicano, è sensibilmente mutata.
Allora erano i Repubblicani a rappresentare i suffragi delle classi ricche e più elevate della Nazione, mentre i fautori dell’Asinello tutelavano la classe media, i cosiddetti “colletti blu”. Oggi avviene esattamente l’opposto: i Repubblicani con Trump sono dalla parte della classe media ed i Democratici sembrano sostenere i super ricchi.

Gli effetti della presenza del terzo candidato

Anche sulla presenza del terzo candidato in lizza per la Casa Bianca, le condizioni politiche che si avverarono allora, nel ’68, e che sono presenti oggi, divergono nettamente. E meritano di essere analizzate separatamente.
Nella campagna attuale, la rinuncia alla corsa elettorale da un lato e la contemporanea dichiarazione di sostegno a favore di Donald Trump dall’altro, di Robert Francis Kennedy jr., avvocato ed uomo di Cultura statunitense, figlio del Senatore di New York, vittima dell’attentato di Los Angeles e nipote del grande Presidente della “Nuova Frontiera”, sembrano indirizzare altri sostegni, non propriamente di natura Repubblicana, verso l’ex Presidente.

Una convergenza di apprezzamenti che Robert Kennedy, “intuitu personae”, ha da dirottare verso il candidato Repubblicano alla Casa Bianca. Infatti, Robert jr. è accreditato dai vari commentatori politici e dai Mass Media di un ipotizzato spazio politico da un minimo del 5% ad un massimo del 15% su scala nazionale.
Se consideriamo di trovarci di fronte ad una elezione che sarà decisa sul filo di lana o al foto-finish, in perfetta parità, anche il 5% minimo di consensi che Robert Kennedy jr. porta in “dote” a Donald Trump, può essere decisivo per riportare l’ex presidente di nuovo alla Casa Bianca, per un secondo ed ultimo periodo di carica quadriennale.

Elezioni USA, Biden contro Trump
Biden e Trump

Gli effetti della presenza del terzo candidato nel ’68

Nel 1968, le cose andarono in modo diverso, ed il terzo candidato alla Casa Bianca di allora, cioè il governatore George Wallace, non si ritirò e partecipò alla gara fino all’ultimo. Col voto allora previsto per il 5 novembre. E determinò una influenza che favorì Nixon, cioè il candidato Repubblicano. Ma lì l’influenza a favore dei Repubblicani del candidato indipendente, fu un effetto indiretto.

Oggi, con Trump, c’è una diretta dichiarazione di sostegno. Nel 1968, la campagna elettorale fu sconvolta dal gravissimo attentato che colpì il senatore Robert Kennedy, mentre era ritenuto ormai il candidato democratico in pectore alla Casa Bianca. E l’unico in grado di battere Nixon il 5 novembre.
Il vasto spazio di consensi che il senatore Kennedy aveva guadagnato attraverso le “Primarie”, superando sia il senatore del Minnesota, Eugene McCarthy che lo stesso vicepresidente Hubert Horatio Humphrey si sfarinò e si disperse a novembre. Distribuendosi appunto tra i tre candidati: Nixon, Humphrey e Wallace. Nixon prevalse sugli altri due candidati, grazie, in parte al consenso che il Senatore barbaramente ucciso a Los Angeles, non poteva più utilizzare.

Quella fu una situazione tutta particolare, funestata da una grande tragedia che aveva mutato e falsato l’esito della campagna elettorale, per fortuna non paragonabile a quella di oggi. Ma, in campo Repubblicano, avvantaggiò allora l’Elefante e potrebbe avvantaggiare ancora oggi, in altri scenari, il medesimo Partito.

I “talloni d’Achille” di Donald Trump

Dal canto suo, l’ex presidente deve fare fronte però – oltre a quanto già dibattuto  – a incertezza, lacune e dubbi del suo programma elettorale. Per brevità e per non appesantire oltre ogni ragionevole misura l’analisi politica, si indicano due esempi, molto importanti, sui quali appunto Donald Trump è sembrato – obtorto collo – piuttosto reticente nei confronti dell’elettorato amico e dei suoi sostenitori.

Le reticenze e le omissioni del candidato Repubblicano alla Casa Bianca più evidenti, più importanti e significative, in politica interna riguardano le ricette e le iniziative per far fronte al costante aumento del debito pubblico interno e le iniziative ed i programmi per frenarne o bloccarne la costante corsa al rialzo.
Infatti, esso è passato dalla quota di 28.428 trilioni di dollari della fine del mandato presidenziale Repubblicano alla quota molto più elevata, attuale, pari a 35.330 trilioni di dollari, sotto responsabilità però della Casa Bianca di Biden – Harris.

Trump dovrà misurarsi col rientro del debito pubblico

L’ex presidente Repubblicano, se sarà di nuovo eletto, dovrà disporre necessariamente di un piano di rientro del debito pubblico. Su tale argomento, Donald Trump ha completamente omesso d’informare il corpo elettorale. Una lacuna non di poco conto.        Un altro argomento che ha registrato il completo (e complesso) “silenzio” politico della scala d’interventi dell’ex presidente è stata la completa assenza di piani per riportare la pace in Palestina.
Può darsi che ciò avvenga per l’indubbio scoraggiamento dal prendere posizione contro Netanyahu, a causa delle pressioni esercitate dalla lobby israelo – americana, che Donald Trump – comprensibilmente, forse – non vorrebbe inimicarsi in vista del voto di novembre.

Sta di fatto che la situazione tra Israele ed Hamas da un lato ed Israele, Hezbollah, Libano, Siria ed Iran dall’altro, è diventata ormai quanto mai  incandescente. E fuori da ogni controllo. E, soprattutto, c’è un governo che a Tel Aviv continua a far finta di non capire che reagendo all’odio con l’odio ed alla violenza con una ancora più forte e quindi spropositata ed arbitraria, aumentandone addirittura a dismisura gli effetti, oltre qualunque ipotizzabile legittima difesa, non arriverà mai alla pace.

Più che l’ONU, a Netanyahu tale condizione, solo un Presidente statunitense è in grado di fargliela capire o di imporgliela, qualora continuasse a dimostrare di essere sordo. Ma dal dibattito elettorale in corso tra i Repubblicani, non è dato conoscere alcunché. Almeno, circa il modo in cui Donald Trump interverrà per sedare gli animi in Medio Oriente, se sarà eletto alla Casa Bianca.

Sebastiano Catalano
Giovanna Fortunato

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