Energia / Chi e perché uccise Enrico Mattei, fondatore dell’Eni?

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Chi uccise Enrico Mattei, il visionario fondatore dell’Eni? Perché mai qualcuno avrebbe voluto vedere morto un uomo così brillante? Fu un attentato nazionale? Qualche giorno fa, il 27 ottobre del 2021, è ricorso il cinquantanovesimo anniversario dalla scomparsa del più grande imprenditore italiano del ‘900 e, probabilmente, della storia.

Enrico Mattei nacque ad Acqualagna, un paesino di quattromila abitanti in provincia di Pesaro e Urbino, il 29 aprile del 1906. È stato il simbolo del miracolo economico in Italia degli anni ’50.  Nel 1953, infatti, Mattei fondò l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), dopo essere stato incaricato dallo Stato italiano di smantellare l’Agip, che invece integrò nell’apparato aziendale. L’Eni fu un ente nazionale fino al 1992, quando divenne società per azioni, secondo i nuovi parametri di Maastricht.

Energia / Enrico Mattei e la politica dell’ENI

Mattei EniAi tempi di Mattei, il mercato degli idrocarburi era oggetto di monopolio delle Sette sorelle. Queste erano le multinazionali petrolifere, di cui cinque americane, una olandese e una britannica, responsabili di estrazione, raffinazione e commercializzazione della quasi totalità del petrolio mondiale. Così fu almeno fino alla fondazione dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), che prese, successivamente, il controllo del mercato degli idrocarburi. Mattei strinse intensi rapporti economici con diversi paesi medio orientali e soprattutto africani, dato che la posizione strategica della penisola italiana, al centro del mediterraneo, permetteva di avere continui dialoghi con tutti i Paesi produttori. In Egitto, in particolare, l’allora presidente Nasser incentivò l’arrivo di capitali stranieri, cercando di avviare rapporti di stretta collaborazione con il gruppo petrolifero italiano. Nel 1955, l’Eni acquistò il 20% della “International Oil Egyptian Company”.

La politica industriale di Mattei non si limitava, però, all’acquisto di quote di società petrolifere straniere, ma puntava a veri e propri investimenti nelle infrastrutture industriali dei Paesi con cui contrattava, partecipando alla loro costruzione. In questo modo, permetteva un incremento della quantità e qualità della produzione alla fonte. Mattei credeva nella dignità dei Paesi produttori, sognava che questi fossero soci in affari e non Paesi sfruttati. Era questo il motivo per cui i suoi investimenti erano ben voluti dai paesi stranieri. Le Sette Sorelle, invece, approfittavano dell’arretratezza di tali paesi quale condizione funzionale sul mercato a fini dello sfruttamento delle loro risorse.

Italia quarta potenza Occidentale

L’imprenditore italiano aveva ovviamente a cuore soprattutto gli interessi del proprio paese: il suo grande obiettivo era unire Nord e Sud anche da un punto di vista occupazionale. Intanto, si guadagnò le inimicizie da parte delle altre multinazionali concorrenti, che la politica seguita dall’Eni aveva letteralmente colpito al cuore. Ma non solo. La stessa Francia vedeva di cattivissimo occhio l’estendersi di interessi capillari dell’Italia in tutto il Mediterraneo, che arrivavano fino al Marocco (con cui il governo Fanfani stipulò diversi accordi) e all’Algeria, paesi storicamente sotto sfera di influenza francese. Insomma, Mattei di nemici ne aveva, potenti e non pochi. Al fine di ottenere un riconoscimento internazionale, puntava a stipulare continui accordi con gli Stati Uniti, di cui J.F Kennedy era presidente.

eni petrolioFu questo il periodo di conclusione di diversi affari tra Esso (la società petrolifera americana) ed Eni. L’Eni si trasformò in un vero e proprio stato nello Stato. In rappresentanza dell’industria italiana, divenne un modello da emulare, avendo dato un grande peso specifico nello scacchiere mondiale ad un Paese di per sé privo di risorse energetiche. L’Italia, forse con eccessiva velleità, si vedeva nella posizione di quarta potenza occidentale, dietro Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Gli americani ritenevano il Bel paese un alleato fedele ma scomodo, soprattutto secondo l’amministrazione Eisenhower.

Il nostro Paese inoltre, in quel periodo, era poco stabile politicamente. Basta vedere l’episodio del governo Tambroni che, sorto grazie all’appoggio del MSI (Movimento sociale italiano), durò appena 123 giorni. Tuttavia, con il nuovo governo Fanfani, i rapporti con il presidente Kennedy erano più che buoni. Tutti sapevano che l’operato di Mattei aveva risvegliato, in Italia, un forte senso di orgoglio nazionale, oltre che profondi cambiamenti economici. Nonostante questo, Mattei non era ben voluto da tutti nemmeno in patria.

Energia / La misteriosa morte di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni

L’ultimo viaggio di Mattei avrebbe dovuto portarlo negli Stati Uniti, per stipulare nuovi accordi con l’amministrazione Kennedy. Ma non arrivò mai a destinazione perché, il 27 ottobre del 1962, il suo aereo precipitò. Quello che apparentemente sembrò un caso fortuito, fu invece un vero e proprio attentato, probabilmente architettato non solo da vertici di aziende petrolifere straniere concorrenti, ma anche da frazioni deviate della stessa politica italiana e da lobby di potere occulte. La morte passò alla storia tra molteplici inchieste e depistaggi: ancora oggi non si sa per certo quale sia la verità. Mattei, per coprirsi le spalle, da tempo concedeva grandi finanziamenti ai partiti italiani ed era in grado di esercitare una certa influenza sulla politica italiana.

Per questo, nonostante i notevoli progressi economici che l’Italia stava conoscendo, la presenza di un uomo così potente non era ben voluta da tutti coloro che ne temevano una forte ascesa al potere. Così Giorgio Bocca, noto collega giornalista italiano, scrisse: “Che cosa era Enrico Mattei? Un avventuriero? Un grande patriota? Uno di quelli italiani imprevedibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti, capaci di grandissimo charme come di grandissimo furore, generosi ma con una memoria di elefante per le offese subite, abili nell’usare il denaro ma quasi senza toccarlo, sopra le parti ma capaci di usarle, cinici ma per un grande disegno”.

Michele Garro 

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