La famiglia non è però in crisi come istituzione: non v’è (ancora) un esplicito disconoscimento del suo ruolo di cellula fondamentale della società, bensì una crisi di senso e di allontanamento dalla verità della relazione tra l’uomo e la donna. Occorre riscoprire la sua soggettività sociale.
Le moderne tendenze culturali e l’indebolimento dei riferimenti morali nelle società occidentali alimentano – purtroppo anche tra i cattolici – un equivoco e fuorviante concetto di famiglia che, inquadrandola in una dimensione sempre più individualistica, ne svuota il ruolo sociale con conseguenze profonde sul piano della disgregazione dei legami sociali e della società nel suo insieme.
Il magistero sociale della Chiesa, al contrario, ci pone di fronte ad una semantica della famiglia che ci svela, per usare la felice espressione di Pierpaolo Donati, la sua “soggettività sociale” che è, nello stesso tempo, un carattere intrinseco ed irrinunciabile della famiglia cristianamente intesa e che presuppone il riconoscimento di un progetto di vita che va ben oltre il proprio, sia in termini relazionali che temporali. La famiglia, infatti, “nasce dall’amore di Dio, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr. Gen 2, 24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno d’amore” (Lumen fidei, n. 52). La fede, perciò, “ci illumina sul senso più intimo e personale e, nel contempo, civile e pubblico della famiglia” (D.Antiseri-F.Felice, La vita alla luce della fede, Rubbettino, 2013).
La soggettività sociale della famiglia si manifesta, dunque, sia nel carattere pre-statuale delle relazioni matrimoniali e di filiazione, rispetto alle quali al legislatore è preclusa ogni forma di intervento; sia nella rilevanza pubblica di tali legami che, in quanto sfera di relazioni, connotano la famiglia come una formazione sociale degna di essere tutelata e protetta dall’ordinamento.
La famiglia – basata sulla piena reciprocità dei sessi e fra le generazioni (P. Donati) – è il luogo in cui si coltivano le virtù personali e, nello stesso tempo, la formazione sociale in grado di trasformarle in virtù pubbliche e, quindi, in capitale sociale. È proprio grazie alla famiglia e all’interno della sua complessa rete relazionale che si forma la persona che, a sua volta, è l’elemento fondamentale del sistema economico, politico e culturale. Da essa dipendono gran parte dei caratteri delle istituzioni economiche e politiche: la vitalità economica della società, la propensione al risparmio o ad effettuare investimenti, gli assetti proprietari del sistema imprenditoriale e le dimensioni delle sue imprese, la capacità di autogoverno, la propensione al rispetto delle regole e la presenza di sufficienti anticorpi contro la corruzione pubblica e privata, e finanche l’articolazione del sistema di welfare. È evidente, perciò, come l’indebolimento della famiglia naturale, la messa in discussione della sua realtà simbolica (composta da padre, madre e, per le coppie a cui tale dono è concesso, figli), così come pure il rafforzamento dei soli legami familiari in un quadro di indifferenza rispetto al bene dell’altro (famiglie-clan), possano provocare conseguenze sulle dinamiche sociali rispetto alle quali occorre estrema prudenza e consapevolezza.
La difesa della centralità della famiglia naturale fondata sul matrimonio e della sua diversità rispetto a qualsiasi altra forma di unione stabile tra due o più soggetti si traduce, dunque, in una battaglia prima culturale e poi politica per la promozione di una certa idea di società e di un determinato modello di sviluppo. Detto ciò, non v’è dubbio che la famiglia naturale fondata sul matrimonio sia in crisi, così come qualsiasi forma di discriminazione meriti di essere contrastata. La famiglia non è però in crisi come istituzione: non v’è (ancora) un esplicito disconoscimento del suo ruolo di cellula fondamentale della società bensì una crisi di senso e di allontanamento dalla verità della relazione sponsale tra l’uomo e la donna che ha prodotto modelli familiari che non si sono dimostrati in grado di assolvere ai compiti naturalmente assegnati alla famiglia e in cui i coniugi hanno talvolta rinunciato ad assumersi le relative responsabilità verso se stessi, verso i figli e la società nel suo insieme.
Contro tale deriva, le famiglie, lasciandosi illuminare dalla Fede, devono contrapporre i propri anticorpi raccogliendo la sfida di un nuovo umanesimo. La riscoperta del senso autentico della famiglia e del suo ruolo sociale, non è infatti un tema appannaggio solo dei cattolici – una sorta di battaglia di retroguardia contro la modernità – ma della società nel suo insieme, poiché da essa discendono effetti sull’intero sistema sociale, con conseguenze sulla sfera economica, politica ed etico-culturale e, in definitiva, sullo sviluppo umano.
Fabio G. Angelini