Anche se ormai 3 italiani su 4 sono connessi alla rete, nel nostro Paese manca ancora una reale consapevolezza del potere di internet. Ne sono convinti gli analisti del sistema dei media. Alla fine di marzo si è chiusa una consultazione pubblica sulla “Carta dei diritti di internet”. Il documento del quale discutere era stato stilato da un’apposita commissione convocata dalla Camera dei Deputati e presieduta da Stefano Rodotà.
“Internet si configura come uno spazio sempre più importante per l’autorganizzazione delle persone e dei gruppi e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale”, si legge sulle pagine del sito della Camera dedicate alla consultazione. L’analisi del documento (diviso in 14 punti) si era aperta a ottobre e si è svolta in due modi: audizioni di esperti e di addetti ai lavori e commenti online da parte dei cittadini. Sono state espresse circa 600 opinioni critiche e sono stati registrati 15mila accessi alla piattaforma online di consultazione. Nel corso delle audizioni sono stati ascoltati, fra gli altri, Agcom, i Giuristi telematici, Media Laws, l’associazione Articolo21, Openpolis e molti esperti. Sono state abbozzate 20 proposte che adesso dovranno essere integrate dal gruppo di lavoro guidato da Rodotà.
Il documento dovrà indicare alla politica la strada per definire una posizione italiana nel dibattito che riguarda la governance di internet per la privacy, la sicurezza e i diritti degli utenti. “Nonostante questo – ha scritto Arturo Di Corinto su Wired -, l’oblio mediatico è stato quasi totale. E dire che mai come nei mesi precedenti le notizie legate alla rete e al suo potere di riconfigurare i comportamenti sociali hanno conquistato il dibattito pubblico: dall’uso dei social network da parte dell’Isis alle decisioni di Obama sulla neutralità della rete, dalle proposte di riforma del copyright al mercato unico digitale europeo fino alla legge sulla diffamazione a mezzo stampa, tv e web”.
Il silenzio della politica, è vero, fa impressione. Secondo il 12° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione siamo ormai entrati nel ciclo della “economia della disintermediazione digitale”: mettere gli utenti (o almeno quelli connessi in rete, che sono il 70,9% della popolazione italiana) a diretto contatto con interlocutori o servizi di loro interesse, scavalcando l’intermediazione di altri. Al web, come messo in evidenza dal Rapporto Censis-Ucsi, stiamo affidando progressivamente parti sempre più rilevanti della nostra vita.
La rete, però, è un mondo complesso e non sempre è trasparente. L’Unione europea sta per chiudere alcune complesse istruttorie sull’abuso di posizione dominante e su ripetuti episodi di elusione fiscale da parte dei cosiddetti “Over the Top” (Apple, Amazon, Google, eccetera). Negli Usa, secondo quanto riportato dal Wall Strett Journal, non accennano a placarsi i rumors sull’inchiesta dell’Antitrust relativa all’uso “disinvolto” e “strumentale” degli algoritmi del motore di ricerca di Google. La Federal Trade Commission avrebbe dimostrato che Google “strategicamente riporta più in basso o rifiuta di visualizzare i link a certi siti web in settori altamente competitivi”.
A Washington ha tenuto banco per mesi una feroce discussione sulla “neutralità” della rete. La proposta di alcuni operatori “Over the Top” era di costruire autostrade digitali a pagamento superveloci per i clienti paganti e lasciare la rete più lenta agli utenti più poveri. Per difendere la “net neutrality” è dovuto scendere in campo lo stesso Obama. Di fronte a scenari così inquietanti (Facebook e Google, con droni o palloni d’alta quota, vogliono portare internet a cinque miliardi di persone), stupisce veramente il silenzio della politica italiana. Deputati e ministri ogni giorno si scatenano sui social per parlare delle loro attività ma sono pochi coloro che si stanno occupando di difendere la libertà di espressione sul web.
Rino Farda