Se ci fosse il tempo, o se ci impegnassimo a trovarlo, per rispolverare la lettura di testi antichi ma ancora così attuali (e purtroppo inattuati, ahimé), non solo avremmo modo di confrontarci su temi fondanti dell’esistenza umana ma forse torneremmo anche a scoprire il valore pedagogico del dialogo come mezzo educativo.
Il dialogo nell’antichità era uno strumento divulgativo molto utilizzato, molte opere di filosofi e scienziati sono state scritte utilizzando questo registro. Una fra tutte: la Repubblica di Platone, dove l’autore nei primi capitoli propone una riflessione sul tema della giustizia e poi illustra un progetto ideale di cittadinanza.
E proprio oggi più che mai le giovani generazioni, che hanno da sempre una naturale inclinazione e vocazione per la giustizia, dovrebbero essere chiamate ad approfondirne le radici e a comprenderne a pieno il valore trascendente. Dalla corretta interiorizzazione del principio della giustizia, discenderebbe senz’altro un disegno etico della società.
Torniamo a riflettere sul tema urgente, che l’Europa nelle sue linee educative guida definisce addirittura “competenza”, della cittadinanza. All’indomani di un confronto elettorale molto aspro e giocato prevalentemente su argomentazioni utilitaristiche, sarebbe ancora più opportuno dedicare dei momenti di riflessione alla coscienza etica e alla costruzione del senso di cittadinanza nei nostri giovani.
Ad ascoltar i filosofi, che proprio Platone, indicava come gli unici possibili affidatari del governo dello Stato, si apprende che oggi la politica, qualsiasi sia il suo colore o la sua connotazione elettorale, si muove esclusivamente sui dati della realtà e ha rinunciato a priori alla trascendenza dei valori.
Nel primo capitolo della Repubblica, Socrate si confronta con Trasimaco, il quale sostiene che la giustizia è l’utile del più forte. Il filosofo, naturalmente, si spende in una ricerca morale e illustra l’idea di una collettività dove i singoli tutti sono chiamati a partecipare alla buona gestione della cosa pubblica, eticamente fondata.
Il nodo è qui.
Nello scollamento, che mina non solo la società ma anche il suo progetto educativo, fra l’essere e “il dover essere”. Tra la realtà e l’ideale, quest’ultimo negli anni sostituito da ideologie rivelatesi fallaci che hanno lasciato il vuoto pneumatico e la devastazione morale.
Il deserto valoriale nel quale noi adulti educatori ci aggiriamo, impoverisce i contenuti formativi che si declassano a timidi tentativi normativi senza alcuna autorevolezza e senza spessore.
A complicare il tutto ci si mette anche il contemporaneo fenomeno della orizzontalizzazione tra gli attori del panorama educativo: docenti e discenti, genitori e figli, anziani e giovani che si confrontano oggi allo stesso livello, senza che nessuno fra essi trovi la forza di indicare un orizzonte ideale. In effetti tutti hanno un tratto comune, sono impaludati nel contingente.
Siamo rimasti chiusi nella caverna, ingoiati dalle tenebre. Il mondo delle idee dov’è finito?
Lo abbiamo spolpato, demolito, eroso senza avere l’accortezza di ricostruire sulle macerie un orizzonte di speranza. Abbiamo voluto dare una svolta “materica” all’educazione e l’abbiamo infarcita di precetti privandola di un quadro di riferimento, amplificando il senso di solitudine collettivo.
E ora siamo qui alla fine di questo vicolo cieco a fissare la “realtà” di questo muro che abbiamo di fronte.
Silvia Rossetti