Il vice di Juncker, figura di riferimento della Commissione Ue, riflette sul futuro del continente a partire dagli imprevisti e pesanti esiti del referendum britannico e dalle riforme che attendono il Belpaese. Contro i populismi e le false soluzioni ai problemi complessi, occorrono – sostiene – soluzioni efficaci in ambito istituzionale, economico e sociale. A Bruxelles un “duetto” con il ministro Maria Elena Boschi.
“Se ce la facciamo in Italia, ce la facciamo anche in Europa”. Frans Timmermans, vice presidente vicario della Commissione europea, è olandese, ma tra le varie lingue che parla fluentemente c’è l’italiano. Ha studiato a Roma e, dice sorridendo, “sono rimasto romano e romanista”. Segue con interesse le vicende politiche tricolori e da Bruxelles spiega: “In Italia occorre modernizzare l’economia, sostenere l’occupazione” e puntare a un complessivo rilancio istituzionale, per una risposta più efficace alle “concrete attese dei cittadini”. Dopo il referendum britannico sul Brexit, quello ungherese sui rifugiati e il ballottaggio austriaco per le presidenziali (entrambi il prossimo 2 ottobre), il Belpaese darà una indicazione “decisiva” sul crinale tra “capacità di riforme” e “populismo” con il voto sulla riforma costituzionale che porta il nome del ministro Boschi.
Londra non sia d’esempio. Ed è proprio Maria Elena Boschi, seduta accanto a Timmermans, ad ascoltarne il messaggio nella sede del Parlamento europeo. L’occasione è data dalla trasferta del ministro italiano delle riforme istituzionali, che il 12 luglio fa tappa nella capitale belga per una serie di incontri pubblici e di rendez-vous istituzionali. Timmermans non ha dubbi: “Questo è un momento difficile. I cittadini sono disillusi e si aprono spazi per chi finge di avere risposte semplici”. Ma
dalla semplificazione forzata della realtà “non nascono vere soluzioni. E il referendum sul Brexit lo ha dimostrato una volta di più”.
Lo sguardo si posa idealmente sul numero 10 di Downing Street, sulla nuova guida dei Tories e del governo del Regno Unito, Theresa May. Il suo predecessore, David Cameron, pensava con il referendum di tenere a bada i nazionalisti, presenti tra i Conservatori e l’Ukip, e di rafforzare la posizione del suo Paese in Europa; invece è rimasto vittima del “leave” e la City trema per le ricadute sulla sterlina e sul Pil. Timmermans riprende: sta alla politica trovare rimedi “corretti e articolati a problemi complessi” come la crisi economica, le immigrazioni di massa, le minacce esterne del terrorismo. In Europa, però, occorrono anche stabilità politica, “partecipazione democratica”, “capacità di innovazione”, “una crescita economica e sociale inclusiva e sostenibile”, maggiore istruzione, ricerca, apertura internazionale. “È necessario – chiarisce – riconnettere cittadini e istituzioni e le generazioni fra di loro”. Insiste su alcune attenzioni prioritarie: i poveri, i giovani, i diritti delle donne, le fasce sociali svantaggiate. Per tutto questo guarda all’Italia come a un banco di prova, a un’ultima frontiera fra la tenuta della democrazia e l’arrendersi agli “illusionisti della politica”. Nelle sue parole non c’è una presa di posizione circa il referendum d’autunno, perché giustamente la Commissione non entra nel merito delle politiche nazionali; quello di Timmermans appare piuttosto un messaggio trasversale, all’Europa, a prendere sul serio i disagi dei cittadini, i timori delle imprese, e a prospettare soluzioni urgenti e praticabili.
La benevolenza dell’Eurogruppo. Tra Timmermans e il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, traspare un’intesa di fondo: l’Italia è un Paese strategico, e non ci si può permettere una “deriva britannica” della Penisola. A poche centinaia di metri dall’Europarlamento, Dijsselbloem ripete infatti – soprattutto in relazione alla situazione degli istituti bancari – che quella italiana “non è una crisi acuta” e dichiara di avere “piena fiducia nel governo italiano”, che “sta lavorando duro con la Commissione, e troverà una soluzione che rispetti le regole”. Tutto ciò è “possibile molto prima del referendum di ottobre”.
Stati più forti, Ue più forte. A questo punto tocca a Maria Elena Boschi confermare gli impegni assunti dal governo guidato da Matteo Renzi. “In questo frangente siamo tutti messi in discussione”. I partiti euroscettici, populisti e nazionalisti si “diffondono ovunque, anche in Italia”. Per questo
“occorre trovare, insieme, ragioni e strumenti per rilanciare l’integrazione” comunitaria.
Uno sforzo “necessario” che, “come insegna la storia” dell’Ue, passa anche attraverso il rafforzamento degli Stati membri, “la stabilità politica”, riforme che si estendano alle “tre principali sfide che abbiamo dinanzi”: e ripete “crescita economica, lotta al terrorismo, migrazioni”. “Bruxelles – aggiunge – non è un ‘altrove’”, ma semmai un piano ulteriore sul quale operare, congiuntamente, “per risolvere i problemi che toccano, con diverse gradualità, tutti i Paesi membri dell’Unione”. L’intervento del ministro entra nel merito della riforma costituzionale italiana benché lo sguardo non si distolga dall’orizzonte europeo. “Per la mia generazione – confida Boschi, mentre Timmermans annuisce – l’Europa ha rappresentato pace, possibilità di viaggiare, opportunità di studio e di lavoro, convivenza nelle differenze, una sola moneta. Ma noi non possiamo solo custodire ciò che ci viene dal passato, siamo chiamati ad essere pionieri di un’Europa rinnovata”. Da qui il dovere di “rafforzare gli Stati membri per rafforzare il progetto europeo” e, dunque, la realizzazione di riforme in Italia, da intendersi “non come una meta, ma una tappa per ammodernare il Paese”. Poi la chiusura ad effetto: “Noi tutti faremo un passo avanti se la quantità dei nostri sogni supererà la quantità dei nostri ricordi”. Timmermans scuote ancora la testa su e giù.
Gianni Borsa