Questo turbolento 2014 insegna che l’Europa delle persone, dei popoli e dei diritti funziona e ha un futuro solo se torna a porre al centro la relazione: tra le radici e il domani, tra persona e persona, tra un popolo e l’altro, tra l’Europa stessa e le altre regioni del Pianeta. E riscoprendo la relazione tra l’immanente e il trascendente, tra l’uomo e Dio.
Alcuni fatti, più di altri, hanno caratterizzato a livello europeo questo 2014 che sta per andare in soffitta. Dodici mesi segnati dalla disoccupazione diffusa, dal conflitto ucraino-russo, dagli sbarchi d’immigrati sulle coste mediterranee. E, sul versante politico-istituzionale, dalle elezioni per l’Europarlamento e dai reiterati tentativi di costruire una risposta comune alla recessione mediante una reale governance economica.
Il Vecchio Continente è attraversato dai nazionalismi, dai populismi di varia marca e dal progressivo allontanamento dei cittadini – disillusi per le mancate risposte alla crisi – dal sogno comunitario. Sentimento, questo, che si è visibilmente manifestato al momento di votare il nuovo emiciclo di Strasburgo a fine maggio, sia con l’ampia astensione dalle urne sia con il significativo risultato raggiunto dai partiti euroscettici e no-euro.
Qualcuno ha parlato, non a caso, di “annus horribilis” per l’Europa. Eppure nel centenario dell’inizio della “grande guerra”, a 75 anni dall’avvio del secondo conflitto mondiale, a 25 dal crollo del Muro di Berlino, più volte è risuonata la parola Europa accanto all’idea della pace ritrovata. E si è parlato della collaborante convivenza fra i popoli dopo le tragedie del Novecento, del lungo processo di costruzione della democrazia e dei diritti e di un elevato standard di vita di cui possono godere proprio gli europei, nonostante i morsi della lunga crisi del debito sovrano.
All’Europa di oggi servono certamente posti di lavoro, investimenti e “strategie” per la crescita, un’efficace unione economica, una decisa convergenza istituzionale. Ma occorrono più ancora nuove speranze e progetti “giovani” che, facendo tesoro del passato, guardino al futuro. Progettare, condividere, convergere, unire, aprirsi: sono questi i verbi che dovrebbero risuonare in un’epoca tentata dalle chiusure, dagli egoismi, dalle paure dell’“altro”, chiunque esso sia.
La chiave di volta è depositata nella “relazione”, la quale a sua volta chiama in causa la solidarietà, la fiducia, la realizzazione di legami e di “ponti”, la scommessa in un domani migliore. Chi ha un’identità debole tende a chiudersi in una fortezza più o meno dorata; invece chi è certo delle proprie radici, della propria identità, non teme il confronto e semmai lo ricerca come processo di crescita ulteriore. Il motto dell’Unione europea è, infatti, “unità nella diversità”: si vorrebbe condividere il cammino mettendo creativamente insieme risorse differenti.
Questo turbolento 2014 insegna probabilmente che l’Europa delle persone, dei popoli e dei diritti funziona e ha un futuro solo se torna a porre al centro la relazione: tra le radici e il domani, tra persona e persona, tra un popolo e l’altro, tra l’Europa stessa e le altre regioni del Pianeta. E riscoprendo – come testimoniano il cristianesimo e le altre grandi religioni presenti nel Continente – la relazione tra l’immanente e il trascendente, tra l’uomo e Dio.
La relazione, l’uscire da sé per andare incontro agli altri e all’Altro, è precisamente il contrario degli egoismi, delle paure, dei nazionalismi che vanno per la maggiore in un’Europa invecchiata e “sterile”.
Il mondo ancora oggi guarda all’Europa. Ne scruta l’anima e i valori, le passioni così come le paure, le performance economiche e le maestose ricchezze storiche e culturali… Il mondo attende un segnale forte, di ripresa, che giunga da Bruxelles come da Parigi, da Atene come dalle capitali nordiche, da Roma, Berlino e dai Balcani. L’Europa – ovvero gli europei, ogni singolo cittadino, le famiglie, la scuola, le comunità credenti, l’associazionismo, le imprese… – deve tornare a prendere coscienza di questo ruolo planetario che si è offuscato assieme alla competitività economica.
Nel presentare il programma di lavoro della sua Commissione, il presidente Jean-Claude Juncker ha parlato della necessità di “una nuova partenza per l’Europa”: se si va oltre l’immancabile pennellata retorica, si scopre che l’osservazione è pertinente. E richiede una presa di coscienza e un’azione corale non più rinviabili.
Gianni Borsa