I cambiamenti, se radicali e in un certo senso rivoluzionari, trovano sulla propria strada delle resistenze, degli altolà legati spesso alla miopia di chi fa fatica a slegarsi dalle abitudini in uno sport che però è in perenne trasformazione. La prima edizione degli Europei di calcio per nazioni, legata all’intuizione di Henry Delaunay, dirigente sportivo francese e segretario della neonata confederazione calcistica europea (UEFA) tra 1954 e ‘55, fu infatti accompagnata dallo scetticismo di alcune tra le maggiori federazioni del Vecchio Continente: Belgio, Germania Ovest, Inghilterra, Italia, Olanda, Scozia e Svizzera decisero di non partecipare, mettendo subito a repentaglio l’idea di un torneo che per la prima volta tentava di far confrontare tra loro i principali movimenti calcistici presenti in Europa. La sfida tra le più importanti esponenti del calcio anglosassone, latino e dell’Est fu quindi rinviato: ai nastri di partenza del primo Europeo si presentarono 17 squadre, in una formula che prevedeva un turno preliminare (tra Irlanda e Cecoslovacchia) e partite a eliminazione diretta, con le semifinaliste a disputare la Fase finale in uno dei 4 paesi ancora in gara.
L’episodio più clamoroso della prima edizione degli Europei riguardò senza dubbio la rinuncia della Spagna ad affrontare la trasferta in Unione Sovietica, nella gara d’andata dei quarti di finale: la federazione spagnola cercò in tutti i modi di evitare il boicottaggio, ma il generale Francisco Franco, all’epoca al potere a Madrid, fu irremovibile. Tra Spagna e URSS non esistevano rapporti diplomatici e, come spesso è accaduto nel corso del XX secolo, le ragioni di Stato hanno prevalso su quelle sportive: fu così che Alfredo Di Stefano, uno dei calciatori più forti della storia, non ebbe la possibilità di misurarsi contro quella che era la formazione più accreditata alla vittoria finale, guidata tra i pali dal leggendario Lev Yashin, ad oggi unico portiere ad aver vinto il Pallone d’Oro.
Oltre all’Urss, la fase finale fu raggiunta da Cecoslovacchia, Francia e Jugoslavia: il calcio dell’Est fu quello che senza dubbio profittò al meglio della nuova vetrina continentale. Le semifinali e la finalissima si disputarono in Francia, tra Marsiglia e Parigi. Al Vélodrome, davanti a soli 25000 spettatori, i sovietici strapazzarono la Cecoslovacchia 3-0. Al Parco dei Principi la Francia, priva di elementi cardine come Fontaine e Kopa, riuscì a dilapidare il provvisorio 4-2 perdendo per 4-5 contro la Jugoslavia, capace di segnare tre gol a cavallo tra 75’ e 79’. La finale di Parigi vide quindi gli jugoslavi, giovani e sfrontati, affrontare la maggior esperienza dei sovietici: il “Ragno nero” Yashin con grandi parate tenne a galla i suoi fino al vantaggio di Galic, poi l’URSS trovò il pareggio con Metreveli, lesto a ribadire in porta una respinta di Vidinic su una potente conclusione di Ponedelnik. La partita fu così decisa ai supplementari, quando il centravanti Viktor Ponedelnik con un colpo di testa battè il portiere avversario Vidinic.
Quello del 1960 fu il primo e unico trionfo dell’URSS nella competizione: il movimento calcistico sovietico fu capace di riproporre la propria nazionale in altre tre finali dell’Europeo (64, 72 e 88), pur non essendo più in grado di raggiungere nuovamente quel successo che rappresenta ad oggi il punto più alto della loro storia calcistica. La prima edizione degli Europei di calcio tramanda comunque ai posteri la vittoria di una nazionale che per molti aspetti è circondata da un alone quasi mitico: le notizie da oltre cortina arrivavano frammentate, non era facile poter seguire campionati e calciatori che appartenevano a un mondo diverso, basato su assiomi socio-politici agli antipodi rispetto alla parte occidentale del continente. Questo contribuì senza dubbio ad accrescere la fama di una squadra che aveva i propri cardini in Yashin, nel capitano Igor Netto, nell’ala Valentin Ivanov e nei due attaccanti Metreveli e Ponedelnik: una corazzata guidata in panchina da Gavril Kachalin, allenatore che ha segnato indelebilmente l’epoca d’oro della nazionale sovietica, essendo stato anche capace di ottenere un trionfo olimpico nel 1956.
Giorgio Tosto