Non è furbizia: la necessità di modificare una cultura e un linguaggio mediatico distorti Lorenzo Caselli (economista): “Un comportamento eticamente corretto poggia su tre elementi: la coscienza individuale, la regolamentazione pubblica – che in questo caso sarebbero i controlli fiscali – e il controllo sociale, ovvero la ‘sanzione degli onesti’. È questa che manca da noi, e bisogna agire fin dalla scuola per costruire una mentalità nuova”. Passare da un “circolo vizioso” a uno virtuoso per combattere l’evasione fiscale, consapevoli che la responsabilità non è solo del singolo che non paga le tasse, ma anche di un tessuto culturale “compiacente”. È la proposta di Lorenzo Caselli, docente emerito di etica economica all’Università di Genova, intervistato dal Sir a proposito del dibattito suscitato dall’affermazione fatta nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio, Mario Monti, per il quale l’Italia vive uno “stato di guerra” contro l’evasione ed è improprio parlare di “furbi” per definire chi commette reati fiscali. Condivide la necessità della “guerra” all’evasione? “Sono perfettamente d’accordo con quanto detto da Monti. Il bene comune, d’altronde, non è un’affermazione generica, ma va tradotto in atti concreti. ‘Fare’ il bene comune chiede innanzitutto – appunto – di pagare le tasse, secondo il principio per il quale chi ha di più deve dare in misura maggiore. In realtà ci troviamo nell’ambito di una circolarità viziosa alimentata da chi evade, ma pure dal luogo comune secondo il quale dal fisco ci si deve difendere”. Come uscirne fuori? “Questa circolarità va spezzata. Da una parte, dando vita a un fisco più efficiente, più equo, con il presupposto che le risorse verranno effettivamente usate per il bene di tutti. Insomma, bisogna entrare nell’ottica di un fisco che da ‘nemico’ diventa ‘amico’. Dall’altra, combattendo con sempre maggior efficacia l’evasione”. Ad agosto gli ispettori della Guardia di finanza sono scesi in spiaggia; in inverno hanno avuto eco i controlli massicci nelle località ‘vip’. Ma c’è chi non apprezza tanto clamore… “Il controllato parla di fisco vessatorio che ricorre all’immagine, ma i risultati dimostrano che ovunque sono stati scovati degli evasori. D’altronde le operazioni vistose sono proporzionate alla gravità della situazione. E queste operazioni generalmente sono apprezzate da coloro che pagano le tasse”. Non dare al fisco ciò che gli spetta è un fenomeno diffuso e da alcuni “giustificato”… “L’evasione è il male profondo del nostro Paese, da un punto di vista economico, ma anche socio-culturale. Se tutti pagassero le tasse e il lavoro nero emergesse, non servirebbero manovre per reperire risorse. Detto questo, vi sono anche modi indiretti che contribuiscono all’evasione, magari frutto di una cultura distorta, come il non chiedere la ricevuta al medico o all’artigiano convinti che così ci tratterà meglio, o lo scontrino al commerciante. È un modo di pensare che alimenta il malcostume, avallato da un malinteso senso di ‘difesa’. Così, però, vi sono meno risorse per i servizi pubblici e cresce l’imposizione, arrivando a livelli che – chi non paga – utilizza pure come alibi per il suo comportamento”. Come generare un cambiamento culturale? “Serve un forte richiamo ai valori e far capire che evadere è un furto, non dichiarare per intero i propri redditi una menzogna. Ci sono anche due comandamenti in proposito: ‘non rubare’ e ‘non dire falsa testimonianza’. E non è da meno la connivenza di chi aiuta a evadere. Un comportamento eticamente corretto poggia su tre elementi: la coscienza individuale, la regolamentazione pubblica – che in questo caso consisterebbe nelle verifiche fiscali – e il controllo sociale, ovvero la ‘sanzione degli onesti’. È questa che manca da noi, e bisogna agire fin dalla scuola per costruire una mentalità nuova. Ci vorrebbe, poi, anche un cambiamento antropologico”. In che senso? “Per il fisco qual è oggi l’immagine del contribuente? Di uno che non paga tutto il dovuto e, in caso di controllo, deve dimostrare di essere in regola. Capovolgere questa concezione sarebbe un segnale forte”. In questi giorni si stanno moltiplicando le proposte, dalla riduzione drastica dell’uso del contante alla limitazione del diritto di voto per gli evasori scoperti… “Penso che vi sia necessità di un patto sociale, destinando a operazioni specifiche una parte percentuale di quanto recuperato grazie alla lotta all’evasione. Si potrebbe ridurre l’imposizione fiscale, oppure realizzare qualcosa di tangibile. Pensiamo, a livello comunale, se si costruissero degli asili, avendo ben chiaro che quell’opera è stata realizzata con i soldi che prima erano stati ingiustamente sottratti al fisco! Per la limitazione nell’uso del contante, poi, si può fare ancora di più. Perché in altri Paesi l’evasione è molto minore? Non solo per tradizione, ma anche perché sono più diffusi strumenti elettronici che portano in questa direzione”. Il presidente del Consiglio ha chiesto di non chiamare “furbi” gli evasori. Vi è una responsabilità dei media in proposito? “Certamente. I media plasmano le coscienze e le mentalità. La responsabilità di una stampa al servizio del bene comune sta nel mettere in evidenza anche ciò che c’è di buono e non contrabbandare come ‘furbizia’ quanto invece va sanzionato. Dobbiamo lavorare da subito a un cambiamento, sapendo che non si risolve il problema in una settimana, ma settimana dopo settimana qualcosa lo possiamo ottenere. Il bene comune, d’altronde, non è qualcosa di eccezionale, ma si costruisce nel quotidiano, giorno dopo giorno”. A CURA DI FRANCESCO ROSSI