Una festa di culture, popoli e sapori. Scorrendo lungo il Decumano, che è lungo 1 chilometro e mezzo, si ha un impatto certamente forte di Expo Milano 2015: i nostri occhi vengono subito attratti da costruzioni, colori e cibi. Ecco qualche numero dell’esposizione universale. 144 i paesi partecipanti più tre organizzazioni mondiali (Onu-Fao, Ue e Cern); 1 milione mq l’area dell’esposizione (più o meno tre volte il Parco Sempione); 53 grandi padiglioni più 9 cluster tematici (Riso, cacao, caffè, etc.). Se è impossibile visitare tutta l’esposizione (ci vorrebbe minimo una settimana) figuriamoci come sarebbe impervio raccontarla. Il visitatore che pensa di andare a Expo e di trovarvi solo architettura, tecnologia e spettacolo sbaglia di grosso: Expo non è solo ciò che si vede ma è anche ciò che si sente (a proposito, qui vale molto il detto “chi ha orecchi per intendere, intenda”). Una precisazione: non tutti i padiglioni prevedono delle visite guidate, motivo per il quale in alcuni di essi (come nel caso degli Stati Uniti d’America o della Francia) si accede in tempi brevi, e in altri (è il caso degli Emirati Arabi Uniti, del Giappone, della Germania) bisogna mettersi in coda per parecchie ore (visita guidata inclusa).
In moltissimi padiglioni il tema del rispetto del creato è strettamente legato (e spesso in contrasto) con quello che sta caratterizzando Expo Milano 2015. Tra le righe dell’enciclica Laudato sì di Papa Francesco il verbo “nutrire” è presente una volta sola ma è posto a metà documento e in riferimento all’occupazione dei popoli. Il Santo Padre ne parla al paragrafo 192: “ […] è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti”. Il Papa ci pone davanti la prova che è possibile nutrire il pianeta prestando il rispetto che merita alla Terra, perché “noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data” (N°67).
Gli Emirati Arabi Uniti e l’Ecuador: due padiglioni che una volta usciti ti lasciano qualcosa dentro e ti insegnano che ciò che facciamo oggi avrà conseguenze, nel bene e nel male, per le generazioni avvenire. Con quasi mille pannelli che rappresentano le dune del deserto quello degli Emirati è uno dei più grandi. A fine Expo sarà smontato e trasferito a Masdar City, la prima città al mondo completamente eco-sostenibile nel cuore degli Emirati Arabi. Attraverso il cortometraggio Family tree, che ha come protagonista la piccola Sara, i visitatori sono condotti in uno spazio teatrale interattivo. Non si tratta di un video di promozione turistica per visitare Abu Dhabi ma di una risposta al mondo di come questo paese sta affrontando il suo più grande problema: la desalinizzazione delle acque oceaniche. Il percorso si conclude nel business district uno spazio dove sono illustrate soluzioni e proposte per “nutrire il pianeta”, tutte con uno sguardo fisso alla sostenibilità dell’ambiente. A proposito, l’Expo del 2020 si svolgerà negli Emirati Arabi Uniti (i lavori sono già conclusi!). Per l’Ecuador è la prima volta a un’esposizione universale. Il tema scelto, “Viaggio al centro della vita”, vuole ricordare il fatto che l’Ecuador è situato in posizione centrale nel Pianeta, ma la parola centro richiama anche l’origine, l’essenza, il principio di tutto. Con questo titolo, che richiama il Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, l’Ecuador vuole omaggiare il viaggio di Charles Darwin nelle isole Galapagos, che lo scienziato definì “Centro della creazione”. Un ritorno alle origini, dunque, che il governo ecuadoregno ha voluto perseguire negli ultimi anni con azioni coraggiose: battendosi contro le numerose multinazionali che con i lori programmi agro-alimentari ne stavano minando seriamente la biodiversità (oltre gli aspetti economici).
Domenico Strano