La città di Catania conserva svariati luoghi legati al culto di Sant’Agata. Nel tempo si sono trasformati in chiese o musei e dimostrano come la fede e il culto della Santa Patrona sia forte nella città. Per quest’anno, la festa principale dedicata alla memoria di Sant’Agata si è conclusa giorno 12 febbraio. Tuttavia, è possibile visitare questi luoghi durante tutto l’anno. Se non lo si è già fatto, questa guida può servire a recuperarli entro la successiva celebrazione del 17 agosto, in cui Catania festeggia il ritorno dei resti della Santa da Costantinopoli e manifesta ancora una volta la sua fede.
Il Trittico agatino / La chiesa di Sant’Agata alla Fornace
Molti dei luoghi in cui si è svolto il martirio di Sant’Agata sono diventati punti di preghiera e pellegrinaggio. I più importanti e che incarnano al meglio la tradizione sono tre: la chiesa di Sant’Agata al carcere, la chiesa di San Biagio (conosciuta anche come Sant’Agata alla fornace) e la chiesa di Sant’Agata la Vetere. Queste tre chiese rappresentano il cosiddetto “trittico agatino”, ovvero i tre luoghi che mantengono la memoria della Patrona e del suo martirio. Si trovano sul luogo che una volta era la collina di Montevergine, area in cui sorgeva la Catania greco-romana.
Per quanto riguarda la chiesa di San Biagio, la tradizione la identifica come il luogo in cui Sant’Agata fu arsa sui carboni e in cui le furono tagliate le mammelle. A testimoniare ciò è una fornace posta sul lato destro dell’edificio, in una cappella dedicata alla patrona, e una scritta latina: Hic Vultata est Candentibus, ovvero “Qui fu voltata tra i carboni ardenti”. Le origini della chiesa risalgono al 1098, ma questa struttura rimase distrutta dal terremoto del 1693. Fu ricostruita, come gran parte della città, durante i primi anni del ’700. Oggi questa chiesa si trova alla fine dell’Antico Anfiteatro romano, che i catanesi conoscono come “Catania vecchia”.
Il Trittico Agatino / La chiesa di Sant’Agata al Carcere
Secondo la tradizione, come dice il nome, in questo luogo rimase prigioniera la giovane Agata durante il processo contro di lei. Si tratta di una chiesa settecentesca che venne costruita attorno a uno spigolo del bastione delle mura cinquecentesche. Queste mura, a loro volta, erano costruite attorno alla sala che faceva parte delle antiche carceri romane. È per questo motivo che è conosciuto anche come Bastione di Sant’Agata. All’interno della chiesa sono presenti due lastre in pietra lavica che conservano impresse le impronte dei piedi della Santa. Inoltre, si può trovare la cassa con la quale i due soldati bizantini, Gisliberto e Goselmo, hanno riportato da Costantinopoli le sue spoglie.
A nord della navata della chiesa, chiuso da una porticina si trova l’interno vero e proprio del Carcere. Al suo interno si alza una statua di marmo raffigurante la Santa: essa ricorda la sua guarigione dal martirio delle mammelle ad opera di S. Pietro. All’esterno dell’edificio si può trovare un albero di ulivo: secondo la tradizione Agata si sarebbe fermata ad allacciare i sandali e in quel punto la pianta sia cresciuta miracolosamente.
Il Trittico Agatino / La chiesa di Sant’Agata la Vetere
La chiesa di Sant’Agata la Vetere fu la prima Cattedrale di Catania. Il termine “vetere”, infatti, significa “l’antica” e indica il luogo in cui era venerata la Santa sin dalla sua morte. Questo luogo venne costruito varie volte o inglobato all’interno di nuovi edifici. La sua prima edificazione risale al 264 d.C, anno in cui il vescovo San Everio avrebbe eretto una cripta votiva. Successivamente all’editto di Costantino del 313, in cui diede libertà di culto ai cristiani, il vescovo San Severino fece costruire un edificio al posto della cripta tra il 380 e il 436. Da quel momento la chiesa divenne Cattedrale e le sue reliquie della Santa trasferite al suo interno. Esse si trovavano precedentemente nel luogo di sepoltura, ovvero nella chiesa di San Gaetano alle Grotte. Tuttavia, nel 1089 il conte normanno Ruggero ordinò la costruzione di una nuova Cattedrale vicino al porto, successivamente consacrata nel 1094.
Alla metà del ‘500 la chiesa era cinta da mura e quasi completamente inglobata dai bastioni che attraversano anche il Santo Carcere. Il famoso terremoto del 1693 colpì anche questo luogo distruggendolo interamente: si salvò solamente la cripta sotterranea, che conserva ancora gli scolatoi per la mummificazione dei cadaveri. Ricostruirono l’edificio intorno al 1722. Al suo interno si conservano i sei cerei processionali, una parte delle celebri “candelore” portate in processione durante le festività. Inoltre, protetta da una teca in vetro, si trova una cassa di legno: secondo la tradizione essa custodì per oltre 500 anni le spoglie della Santa. Infine, la chiesa è al centro di una leggenda che ha come protagonista Santa Lucia: la giovane si recò lì per pregare Sant’Agata e chiederle la guarigione della madre.
Catania / Altri luoghi dedicati a Sant’Agata
Al centro di molte leggende è la casa natale della Santa. Si tratta di versioni distinte che indicano più di un luogo. La versione più conosciuta vede il quartiere della Civita come luogo principale. Infatti, si ritiene che la sua abitazione si trovasse nella zona che oggi ospita Palazzo Biscari e il complesso benedettino della chiesa di San Placido, oggi Palazzo della Cultura. Essa, secondo gli studiosi, sarebbe la casa paterna e ancora oggi si trova un’epigrafe che testimonia l’accesso della casa. La Madre Abatessa Maria Rosaria Statella posò l’epigrafe sul fianco laterale del monastero nel 1728.
Importante anche la fontana dedicata alla Santa che si trova nelle antiche mura di Carlo V: ogni anno, durante le festività, centinaia di fedeli si fermano davanti ad essa per accendere le candele e farle una preghiera. In quasi ogni angolo della città di Catania si può trovare qualcosa che commemori la Santa. Molteplici sono ad esempio i dipinti raffiguranti Agata o i piccoli altarini votivi nelle vie più antiche del centro storico. La fede dei catanesi per Sant’Agata è molto forte e per questo trovano sempre un modo per mostrarlo a chi si avventura all’interno della città.
Milena Landriscina