Nella notte tra sabato 10 e domenica 11 febbraio si è conclusa l’ultima edizione del Festival di Sanremo che ha incoronato la canzone regina della kermesse canora: “La noia” di Angelina Mango e un grande successo di share, con serate lunghissime e un numero elevato di cantanti. L’ultima serata ha ottenuto 74.1% di share. Con Massimo Bernardini, giornalista, autore e conduttore di Tv Talk (RaiTre), cerchiamo di capire com’è stata effettivamente questa 74ª edizione del Festival della canzone italiana.
Le è piaciuto il Festival quest’anno?
Vorrei fare una premessa. Noi stiamo vivendo – e lo dico come uomo che lavora in Rai – un’ubriacatura da ascolti che andrebbe un po’ raffreddata. In Italia abbiamo il vizio mostruoso, cresciuto poco alla volta da quando nel 1986 è arrivato l’Auditel, di considerare il fatto che la maggior parte dei televisori accesi sia posizionata a guardare Sanremo rappresenti tutto il Paese, invece, il bacino di chi segue la tv normalmente è intorno ai 25 milioni, ma il Paese è fatto di 60 milioni di abitanti, quindi gli “ipnotizzati di Sanremo” sono una parte importante ma non tutto il Paese.
Il fatto, poi, che tante persone abbiano voglia di distendersi e commentare canzoni non significa che pensino che quello spettacolo sia il migliore del mondo. Il dato sull’ascolto cioè non ci dice se la gente sta apprezzando lo show, se si sta divertendo, se quelle canzoni stanno entusiasmando. Amadeus ha il merito di essere tornato ai numeri che definirei bulgari della fine degli anni Ottanta, anche se allora numericamente erano 18 milioni e sabato 14.301.000 di spettatori. Quindi, un grande successo ma non possiamo attribuire un valore teologico a tutto questo.Foto Ansa/Sir
Rilevo anche che aver allungato tanto le sere è anche motivato dalla moltiplicazione degli spazi brandizzati, fino a far diventare le serate del Festival anomale nel mondo dove non ci sono programmi che comincino alle 20,30 e finiscano alle 2 o 3 del mattino. Ma affidarsi alla pubblicità rischia di snaturare il servizio pubblico ed è pericoloso perché tutto quello che non produce pubblicità diventa marginale dentro il servizio pubblico.
E questo si vede in Sanremo?
Sì, non possiamo dire che perché ha ascolti bulgari il Festival è bello. Non sono gli ascolti che fanno il metro di qualità di un programma.
L’Auditel è nato per valutare l’advertising dentro i programmi e noi lo usiamo, invece, per valutare i programmi. È un difetto solo italiano che questo Festival ha centuplicato.
Se non è giusto giudicare Sanremo dagli ascolti, dalle canzoni invece sì: come sono state?
Sono molto colpito – come lo era Angelina Mango, l’altra sera, non se lo aspettava neppure lei – dalla vittoria. Ma piacevolmente. Il testo della canzone è stato scritto dalla stessa Angelina con Madame e questo nella canzone si coglie tanto: a mio avviso, Madame è la migliore autrice di canzoni in Italia oggi – ed è giovanissima, ha appena compiuto 22 anni – mostrando un dato di modernità di scrittura, contemporanea.
Ci sono delle strofe che vorrei citare. Innanzitutto: “Muoio senza morire. In questi giorni usati. Vivo senza soffrire. Non c’è croce più grande. Non ci resta che ridere in queste notti bruciate. Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa”. Non sono versi banali, ma ci dicono cos’è la noia di vivere degli adolescenti di oggi.
Più avanti: “Quanta gente nelle cose vede il male. Viene voglia di scappare come iniziano a parlare. E vorrei dirgli che sto bene ma poi mi guardano male. Allora dico che è difficile campare”. Queste strofe ci fanno capire come il mondo adulto si pone verso i giovani.
In un’altra frase ci vedo proprio Madame, perché Angelina non è ancora a questo punto professionalmente: “Business parli di business. Intanto chiudo gli occhi per firmare i contratti. Princess ti chiama princess. Allora adesso smettila di lavare i piatti”, qui c’è un’autoriflessione su una ragazza che sta vivendo un grande successo ma questo non risolve la domanda che ha dentro.
E nel ritornello: “La cumbia della noia”, questa noia riecheggia Sartre, secondo me. “Allora scrivi canzoni? Sì, le canzoni d’amore. E non ti voglio annoiare. Ma qualcuno le deve cantare” oppure “Faccio una festa, faccio una festa. Perché è l’unico modo per fermare. Per fermare la noia”. Infine: “Muoio perché morire rende i giorni più umani. Vivo perché soffrire fa le gioie più grandi. Non ci resta che ridere in queste notti bruciate”. Sono tutti versi molto interessanti, a descrivere una condizione giovanile, ma in maniera anche allegra, un pezzo ballabile, molto giocoso. In passato altri autori hanno parlato del proprio sentire ma con tutt’altro clima musicale. Invece la forza di Madame e di Angelina Mango è di avere una lingua moderna, una lingua che si abbina anche al ballo.
Anche musicalmente il brano di Angelina Mango è molto valido, avendo anche vinto il premio assegnato dall’orchestra…
Sì, è un brano oggettivamente brillante. Dal punto di vista del vincitore, quest’anno, siamo messi bene.
Oltre alla canzone di Angelina Mango, ci sono altri testi che l’hanno convinta?
L’altro testo interessante è quello di Loredana Bertè, che potrebbe essere “quasi la nonna” di Angelina: è molto autobiografico, si sente che c’è la sua mano nel testo: “Col cuore ti ho spremuto come un dentifricio”, questa strofa riflette bene una persona di una certa età, “E nella testa fuochi d’artificio” è ancora rockettara, molto viva, “Prima ti dicono basta sei pazza e poi. Poi ti fanno santa”, questa è un’osservazione molto acuta. Trovo, conoscendo anche la storia di Loredana, una sincerità.
“La noia” e “Pazza” le tengo insieme: sono come due generazioni lontane che usano la canzone come un gesto di verità, mi ha molto colpito questo fatto. In Sanremo 2024 è stato molto di moda il racconto del disagio giovanile, ma nelle due canzoni “La noia” e “Pazza” c’è molta verità, non messinscena. Anche nel pezzo di Mahmood ci sono brandelli veri, ma è talmente criptato e in gergo, che al primo ascolto non ce ne accorgiamo.
Il pezzo dei Negramaro è all’altezza di quello che hanno sempre fatto, ma è anche giusto per Sanremo. “Ricominciamo” vuol dire anche che la band vuol ripartire. In questo caso la verità si percepisce dal mondo appassionato con cui canta Giuliano. Ci sono, poi, delle canzoni solide, buoni pezzi, tra cui quello di Diodato, costruito bene, credibile dal punto di vista professionale, una buona canzone italiana, come anche il pezzo di Alessandra Amoroso.
Oltre ad Angelina Mango, c’era molta attesa anche per Annalisa…
La canzone di Annalisa è un manuale di professionalità commerciale. Una canzone che si appiccia alle orecchie, come si faceva negli anni Ottanta e Novanta: tecnicamente studierei “Sinceramente” per imparare come si scrive una canzone commerciale. Il rapporto tra testo e musica è perfetto, tutti gli elementi sono ben messi, tutti sorprendenti. Per me tutto il resto o è travestimento del disagio giovanile, oppure il pezzo da ballo perché così vuole il mercato.
In questo senso significativo è il caso dei The Kolors che sono partiti come una sorta di gruppo funky poi dopo l’exploit di “Italodisco” hanno capito quale strada seguire. Fiorella Mannoia, invece, ha fatto un elenco del telefono di come le canzoni d’autore parlano delle donne, ma non ti arrivano le emozioni. Ad esempio, Ghali ha fatto un numero strepitoso nelle cover, invece la canzone “Casa mia” è molto più commerciale.
Nella serata delle cover chi meritava di vincere?
Ho trovato interessanti Irama con Riccardo Cocciante e Alfa con Roberto Vecchioni: oltre all’impasto vocale di voci così diverse che era interessante, bene anche l’idea del passaggio di testimone, erano due esibizioni fatte bene, è stata una bella idea. Anche Annalisa con la Rappresentante di Lista su “Sweet Dreams” degli Eurythmics ha presentato un grande momento di soul bianco, con grandissima energia, davvero potente. È riuscito carino anche il medley di Alessandra Amoruso con i Boomdabash sull’orgoglio salentino.
Proprio la serata delle cover è stata al centro di polemiche per i fischi al primo classificato, Geolier, ma non mi pare che sia stata la prima volta che è successo un fatto del genere…
Non è stata la prima volta dei fischi dal pubblico né la prima volta di un voto in cui il Sud si scatena e sballa il televoto. Ma se ci sono 15 milioni che stanno vedendo il Festival non ci si può basare a giudicare il dissenso per quelle cinquecento persone che sono nell’Ariston, fa solo effetto perché lo vedi in diretta tv e senti i fischi, ma la platea vera è a casa.
Dopo la vittoria di Angelina Mango, c’è chi ha polemizzato che il risultato del televoto, favorevole a Geolier, sia stato ribaltato da giornalisti e rappresentanti delle radio… Secondo lei il sistema del televoto sarebbe il metodo più giusto da usare per decretare il vincitore o, al contrario, sono utili dei correttivi che aiutano a privilegiare anche la qualità delle canzoni in gara? Bisogna, inoltre, considerare che chi usa il televoto a pagamento è una piccola parte del pubblico televisivo e non rappresenta tutti.
Questo problema al Festival esiste da molto tempo. Il voto popolare è la pancia del Paese, che è influenzata da tanti elementi e poi, in qualche modo, è molto manipolabile.
Il tema di avere un voto equilibrato c’è sempre stato, passando attraverso svariati meccanismi. Sono tutti tentativi giusti, secondo me, di rendere questo risultato finale il più equilibrato possibile. Il voto popolare porta il rischio che si buttano solo alcune zone del Paese a votare. Poi è successo già in passato che alcuni imprenditori musicali, facendosi due calcoli – il tema non tanto è vendere dischi ma fare le serate – hanno investito un tot per pagarsi dei voti di televoto, sapendo di recuperarli poi in estate attraversi i concerti.
Poi bisogna considerare chi si mette a televotare, all’ora a cui si fa, per questo è assolutamente sensato il complicato mix di giurie che si alternano, che si mischiano. Non si può usare solo il voto a pagamento, che porta ulteriore utile anche alla Rai, bisogna anche salvare in qualche modo la credibilità del Festival, questi bilanciamenti servono. Il consenso non ci autorizza a incassare tutto, dobbiamo considerare che il Paese è composito, non tutti hanno gli stessi gusti, questa è saggezza democristiana all’antica, una saggezza per salvaguardare la credibilità del Festival. E la qualità, avendo delle sorprese. Infatti, non ci avrei scommesso sulla vittoria de “La noia”, pensavo solo a un buon piazzamento.
Gigliola Alfaro