Il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, conferma la vocazione ad essere “banche di persone” e “banche di comunità”. E ancora: “Nelle nostre intenzioni non vi sarà mai una ‘capogruppo’ intesa in senso di società di capitali per la quale le singole Bcc diventino una sorta di filiali sul territorio… Il nostro principio basilare è che la volontà dei soci sia assicurata con il voto capitario”.
Tra i “gioiellini” della finanza cattolica (o di ciò che rimane di essa), Federcasse (sigla che sta per “Federazione italiana delle banche di credito cooperativo – Casse rurali e artigiane), è di certo la realtà più diffusa e capillare. Conta su 379 Bcc e casse rurali, con 9.248 sportelli, spesso aperti nei comuni più piccoli. Rappresenta 1 milione e 199 mila soci e dà lavoro a 37 mila dipendenti. Ultimamente Federcasse è stata al centro dell’attenzione, per le pressioni politiche e finanziarie in vista di una sua “riforma”, tipo quella imposta alle banche popolari di maggiori dimensioni, trasformate dal Governo in società per azioni. Le Bcc hanno resistito e puntano ad “autoriformarsi”. Su questi cambiamenti in corso abbiamo intervistato il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi.
Presidente, il mondo delle banche di credito cooperativo è in movimento verso una maggiore integrazione, un po’ come tutto il mondo bancario. Cosa farete?
“Il credito cooperativo ha piena consapevolezza della necessità di adeguare l’assetto complessivo del sistema Bcc, alle sfide in atto. Il 12 marzo il consiglio nazionale Federcasse ha approvato una delibera per l’autoriforma del nostro sistema. Si punterà a confermare il ruolo delle Bcc come banche cooperative delle comunità e dei territori a vocazione mutualistica, valorizzando la dimensione territoriale della rete”.
Si parla per le Bcc di accrescere anche l’efficienza e i servizi ai soci.
“Certo. Intendiamo adeguare la qualità complessiva della governance del sistema, anche per migliorare il servizio a soci e clienti. Punteremo anche ad assicurare una più efficiente allocazione delle risorse patrimoniali disponibili, oltre che consentire l’accesso di capitali esterni. In una parola: vogliamo garantire l’unità del sistema come presupposto di competitività nel medio lungo-periodo”.
Finora il sistema Bcc è apparso sano, diffuso ma anche piuttosto polverizzato. Che ci dice della richiesta di creare una o più “capogruppo”?
“Nelle nostre intenzioni non vi sarà mai una ‘capogruppo’ intesa in senso di società di capitali per la quale le singole Bcc diventino una sorta di filiali sul territorio. Si tratta invece di procedere su una strada di maggiore integrazione tra Bcc, ma con l’obiettivo per noi irrinunciabile di garantire l’autonomia delle singole banche. Il nostro principio basilare è che la volontà dei soci sia assicurata con il voto capitario”.
Punto forte delle Bcc è il radicamento territoriale, punto debole forse la bassa capitalizzazione e la ridotta copertura di partite deteriorate. È così?
“Non è affatto vero che le Bcc abbiano un punto debole nella bassa capitalizzazione. A livello di sistema le Bcc, con un aggregato patrimonio e riserve superiore ai 20 miliardi di euro, hanno coefficienti patrimoniali già oltre i parametri che le regole di Basilea fissano con un Tier One medio superiore al 16 per cento. Del resto, le Bcc sono chiamate ad accantonare a patrimonio almeno il 70 per cento degli utili netti annuali e questo, nel tempo, le ha confermate tra le banche più capitalizzate. Ricordo anche che Iccrea Holding Spa, al vertice del Gruppo Bancario Iccrea, ha di recente superato con pieno successo gli stress test della Bce”.
E sui crediti deteriorati?
“I nostri dati, che peraltro sono elaborazioni su dati della Banca d’Italia, ci dicono che per singoli settori, il livello delle sofferenze è inferiore a quello delle altre banche, con scostamenti a volte sensibili. Segno che la banca di relazione funziona ed è comunque ancora un grande valore per il territorio”.
È vero che potreste aprire alle banche cooperative europee, quali Raiffeissen tedesche o austriache, olandesi, polacche o finlandesi?
“È una delle diverse ipotesi ancora in discussione. Certamente, in tema di afflusso di capitali esterni, la comune matrice ideale e cooperativa potrebbe rappresentare un valore. A livello di rappresentanza una rete europea di banche cooperative già esiste. È l’Associazione europea delle banche cooperative (Eacb) con sede a Bruxelles che interloquisce con i regolatori europei e le istituzioni comunitarie. A livello continentale la cooperazione di credito copre circa il 20 per cento del mercato”.
Nel sistema bancario europeo segnato da grossi movimenti, il sistema Bcc saprà conservare le sue radici che si rifanno al cattolicesimo sociale?
“Le Bcc avvertono oggi, ancor più che in passato, la responsabilità e l’urgenza di continuare ad essere ‘banche di persone’, attraverso un uso responsabile e differente del denaro. Parliamo anche di ‘banche di comunità’ che non hanno l’obiettivo di massimizzare il profitto per un azionista, magari lontano, ma un vantaggio per i soci e per le comunità locali di cui sono espressione. La nostra forza irrinunciabile, segno di ‘contraddizione’ nell’industria bancaria, è la mutualità che si rifà al cattolicesimo sociale. In questa fedeltà alle nostre ‘radici’ siamo stati confortati da Papa Francesco nell’udienza di fine febbraio a oltre 7 mila cooperatori”.
Luigi Crimella