Monsignor Pierre d’Ornellas, vescovo di Rennes e presidente del gruppo di bioetica istituito dalla Chiesa di Francia sul fine vita, solleva dubbi sul collegamento immediato con l’arresto dei “trattamenti”, ovvero l’idratazione e la nutrizione artificiale. Una grande domanda: “Come preservare al meglio la relazione, sempre unica, con ogni paziente, fino alla fine?”
In Francia si muore male, in ospedale, con dolore, nell’abbandono. Ecco perché i francesi chiedono una legge sull’eutanasia. Ma la sfida della morte non si gioca con una legge, si gioca nella fraternità. E con lo sviluppo di un piano per le cure palliative e la formazione del personale medico all’accompagnamento delle persone in fine vita. È questa, in estrema sintesi, la posizione della Chiesa cattolica di Francia nel dibattito pubblico sul fine vita. Martedì pomeriggio l’Assemblea nazionale francese ha dato via libera alla proposta di legge che propone una “sedazione profonda e continua” per i pazienti in fase terminale. L’approvazione del testo – presentata dai deputati bipartisan Alain Claeys (Partito socialista) e Jean Leonetti (neogollisti, Ump) – ha visto una larghissima maggioranza con 436 voti a favore e 34 contrari. Abbiamo chiesto a monsignor Pierre d’Ornellas, vescovo di Rennes e presidente del gruppo di bioetica istituito dalla Chiesa di Francia sul fine vita, un parere sulla legge e sul dibattito alla Camera.
Il testo di legge introduce nella normativa sul fine vita la “sedazione profonda e continua”. Cosa c’è che non vi convince?
“Nel nostro libro, ‘Fine vita. Una questione di fraternità’, segnaliamo tre difficoltà. Innanzitutto, la sistematizzazione nel collegare gli arresti dei trattamenti e la sedazione profonda e continua, che rimane un’eventualità eccezionale. Una tale sedazione può lasciare spazio a dei trattamenti ordinari necessari per la cura personale. Inoltre l’arresto del trattamento non richiede sempre anche la sedazione. Ogni situazione è unica! E allora – ed è la seconda questione – perché chiamare ‘trattamenti’ l’idratazione e la nutrizione artificiale? Esse sono in alcuni casi cure ordinarie che devono essere fatte. Infine, il concetto di ‘diritto’. La cura si pratica in un rapporto di fiducia. Questa relazione rischia però di rompersi se il paziente ha ‘il diritto’ a una sedazione profonda e continua e la richiede. A quel punto il medico diventa un esecutore privo di responsabilità”.
Ogni anno in Francia, sono effettuati 4mila interventi di aiuto a morire nella illegalità. Non credete che occorra trovare un modo per mettere ordine a quanto avviene sul “campo”?
“Sì, ma il modo sono la formazione di tutto il personale di cura alla medicina palliativa e allo stesso tempo il finanziamento dei tempi necessari per l’accompagnamento. In ogni caso, non dovrebbe mai essere consentito di utilizzare la relazione di cura per un aiuto a morire. Sarebbe un’enorme contraddizione che rovinerebbe la fiducia. Alle domande di morte, occorre rispondere con un maggiore sforzo di accompagnamento, da offrire con la competenza necessaria per decriptare la domanda stessa e comprenderne il significato”.
Dai recenti sondaggi, risulta che la richiesta di eutanasia dipende dalla paura di morire nella sofferenza. Come si muore in Francia?
“Troppi sono coloro che muoiono male in ospedale, con dolore, nell’abbandono. Il 9 giugno del 1999, lo Stato francese ha promulgato una legge: ogni cittadino ha diritto alle cure palliative. Bene, lo sviluppo delle cure palliative e la formazione del personale sanitario a questa medicina sono ancora terribilmente deficitari”.
Come è andato il dibattito in Assemblea Nazionale. C’è stata la serenità necessaria per discutere un tema così sensibile?
“I dibattiti, nel loro insieme, sono stati degni, fatta eccezione per qualche proposta ideologica di eutanasia. La serenità è essenziale. Un deputato può incontrare una difficoltà reale: cioè proiettare sull’insieme dei francesi la sua esperienza familiare personale che ha vissuto dolorosamente. E ciò può inconsapevolmente indurlo a volere l’aiuto a morire o l’eutanasia per tutti, proprio per dare una risposta al suo vissuto personale. Un deputato, senza rinnegare la sua esperienza personale, è chiamato a riflettere per il bene comune, ad ascoltare per esempio l’Ordine nazionale degli infermieri che si è opposto all’eutanasia. La fraternità è per lenire il dolore, non per far morire”.
Il testo ora passa al Senato. Qual è il suo auspicio ai senatori?
“Innanzitutto che prendano in esame i tre punti prima citati. Come preservare al meglio la relazione, sempre unica, con ogni paziente, fino alla fine? Inoltre, il concetto di inutilità non può applicarsi alla vita di una persona ma a un trattamento. Per cui, l’espressione ‘prolungare inutilmente la vita’ è da ritirare dall’articolo 3. La sua soppressione non cambierebbe in nulla la legge. Inoltre, è essenziale che il medico che prescrivere la sedazione profonda e continua, dica chiaramente che l’obiettivo perseguito è lenire il dolore e la sofferenza. Questo obiettivo o intenzione dovrebbe essere iscritta nel referto medico. Ecco perché sarebbe bene introdurre la menzione dell’effetto secondario all’articolo 4. Non perdiamo di vista la fecondità del principio del duplice effetto”.
Maria Chiara Biagioni