I cattolici chiedono con urgenza una legge sul fine vita: è assolutamente necessaria. Di questa richiesta se ne è fatto carico il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, in un passaggio della prolusione al Consiglio episcopale permanente di marzo. Egli ha detto che “si tratta di porre limiti e vincoli precisi a quella giurisprudenza creativa che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno”. Parole chiare, che denunciano come, talvolta, i giudici, trovandosi a dirimere questioni delicate sul fine vita, possono decidere le sorti di una vita umana, trascinati dal sentire o dall’opinione del momento. Occorre che la legge in modo semplice ed essenziale si esprima su quello che è bene fare o si deve assolutamente evitare, quando ci si trova davanti a persone che sono in coma o che sono alla fine della vita.
Si tratta di superare le opinioni di taluni e trovare una base condivisa, che rispecchi il patrimonio culturale del nostro Paese. Al di là dei soggettivismi di alcuni, amplificati dai mezzi di comunicazione, esiste un senso del valore della vita umana, che si è diffuso anche grazie alla presenza capillare della Chiesa. L’opera assistenziale di religiosi e laici ha creato nel passato strutture ospedaliere per l’accoglienza di tutti i malati, compresi gli incurabili: a Roma, a Genova, a Napoli la storia è segnata dalle coraggiose iniziative della carità. Perché i santi della carità si sono occupati degli incurabili? Perché hanno impiegato energie personali e hanno raccolto tanti aiuti a favore di queste persone? Semplicemente, perché nella nostra cultura c’è la convinzione che la vita umana, anche segnata dalla sofferenza o, purtroppo, vittima di un male che la distrugge, è sempre un bene. L’opera di carità della Chiesa ha preceduto di secoli l’istituzione di ospedali civili e, anche quando questi sono sorti, ha sempre continuato occupandosi di coloro che, a motivo di una grave handicap, non potevano rimanere in famiglia. La testimonianza della carità ha mantenuto alta la percezione del valore della vita. Non è stata un’imposizione, quella dei cattolici, ma un contributo necessario per la società umana; sì l’attenzione al più debole e fragile è la misura della civiltà. Un argomento su cui per secoli si è fondato il rispetto incondizionato per la vita umana è quello della sua sacralità. Questo è oggi da alcuni rifiutato, perché sarebbe un retaggio cattolico; la nostra società sarebbe laica nel senso che dovrebbe fare a meno della Chiesa e di tutto ciò che questa esprime e, pertanto, al termine “sacralità della vita umana” è stato contrapposto quello di “qualità della vita umana”. Questione di parole. Non c’è nessuna difficoltà da parte dei cattolici ad accogliere la nuova espressione, perché la qualità della vita non è data semplicemente dai parametri fisici ma anche da quelli spirituali, egualmente importanti. Dimenticare questi, vorrebbe dire ridurre l’uomo solo ad un fenomeno fisico. Occorre una lettura completa, che è quella della metafisica, capace di rendere ragione anche di quello che non si vede, ma c’è! Così è contro la qualità della vita l’accanimento terapeutico come l’eutanasia, perché non si è mai davanti ad un corpo, da trattare come una macchina che si accende e spegne secondo la volontà, ma davanti ad una persona, che è indisponibile agli altri come a se stessa. Occorre, però, un chiarimento: la spiritualità della persona significa, anzitutto, che essa è partecipe di un disegno, che la trascende e va oltre il presente. In questo senso è il destino ultimo, quello eterno, che è la misura di come e fino a quanto vivere il presente. Queste non sono considerazioni di fede cattolica, ma espressioni di quanto la ragione può cogliere e di quanto l’uomo sente dentro di sé. Dimenticarle, perché spirituali, significa umiliare il desiderio insito nell’uomo di conoscere il vero e la capacità della ragione di raggiungerlo e documentarlo. Alla posizione di chi in nome della libertà – ma è tale? – spegne l’intelligenza, si deve contrapporre l’esperienza dell’uomo comune, che facilmente trova nella fede la pienezza e la comprensione di quello che intuisce e di quello che desidera. La ragione, mediante il sapere metafisico, armonizza le varie letture dell’uomo, offerte dalle scienze; giunge alla piena conoscenza del reale, di cui Dio è inizio e fondamento. È naturale che, così intesa, la vita sia sacra: non a motivo di un’ingerenza della Chiesa, ma per la verità delle cose. Da questa consapevolezza deve partire la legge, indicando, ad esempio, quelle forme di assistenza, che non possono mai essere omesse perché sostegno vitale alla persona, “una cosa sola” in quanto a corpo e spirito.
Marco Doldi