A capo del governo, dovrà dare delle risposte, costruire dei percorsi. In questo senso il messaggio che gli ha inviato papa Francesco, con un forte richiamo agli emarginati, mette appunto in primo piano la realtà: in un’intervista a El Pais del 22 gennaio il Papa chiosa: “Vedremo quello che fa, e allora valuteremo; non si può essere profeti di calamità”.
Il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti si è finalmente insediato: con un discorso muscolare, alla sua maniera. Ha squadernato tutti i temi che hanno fatto breccia in una delle campagne elettorali di più bassa qualità della storia americana, proiettandoli ormai sulla scena mondiale: cambiamento, ribaltamento di priorità e di relazioni, America di nuovo grande, al primo posto.
In questo avverbio, “di nuovo”, again, usato ben nove volte, sta probabilmente il punto. Più che di nuovi orizzonti, alla Obama prima maniera, c’è la volontà d’interpretare la frustrazione e il desiderio di protezione e di rivalsa di vastissimi strati di popolazione, spiazzati, sbussolati da un cambiamento che, in fin dei conti, ha giovato a pochissimi, una sorta di nuova trahison des clercs, il tradimento delle élites, dell’establishment.
Di nuovo dunque: ma cosa, veramente?
Ecco l’interrogativo, che Trump solleva. Ha scommesso e vinto sul nuovo clivage, la linea di frattura che separa chi sta dentro da chi sta o si sente fuori.
Il tema è proprio “il popolo” e, dunque, la democrazia in questione.
Cominciano i giochi di una fase nuova. Sapremo tra breve se negli Stati Uniti, come è accaduto per esempio nel 1801 e poi nel 1829, per citare solo i fatti più lontani, attraverso l’elezione presidenziale si è prodotta non un’alternanza, ma un’alternativa:
Trump resta un’incognita, tenendo conto che si è preso la libertà della contraddizione, ovvero di dire cose contraddittorie.
A capo del governo, comunque, dovrà dare delle risposte, costruire dei percorsi. In questo senso il messaggio che gli ha inviato papa Francesco, con un forte richiamo agli emarginati, mette appunto in primo piano la realtà: in un’intervista a El Pais del 22 gennaio il Papa chiosa: “Vedremo quello che fa, e allora valuteremo; non si può essere profeti di calamità”.
In realtà lo stesso Francesco, parlando ai movimenti popolari lo scorso 5 novembre aveva posto il problema della politica di questo inizio di ventesimo secolo: “Il rapporto tra popolo e democrazia”. È, osservava Francesco, “un rapporto che dovrebbe essere naturale e fluido, ma che corre il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile. Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle”.
Questo è il punto: inizia per tutti una navigazione complicata.
Nell’intervista a El Pais ha messo in guardia perché non si ripeta la dinamica degli anni Trenta in Germania, crisi economica e risposte populiste. La storia però non è maestra di vita: “In tempi di crisi non funziona il discernimento”.
Il punto della politica oggi in Occidente e, dunque, anche da noi, è che a vasti ceti spiazzati e sbussolati occorre fare proposte autentiche e dire le cose con chiarezza: in mancanza limitarsi a denunciare il cosiddetto populismo, parola sommamente equivoca, rischia di produrre solo eterogenesi dei fini.
Francesco Bonini