Formazione liturgica / Con “Desiderio Desideravi” il Papa aiuta a comprendere la bellezza della celebrazione

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papa Francesco

Dopo il Motu proprio del 16 luglio 2021  “Traditionis Custodes”, sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma,  con la nuova Lettera apostolica “Desiderio Desideravi del 29 giugno 2022, Papa Francesco consegna alla Chiesa un testo sulla formazione liturgica del popolo di Dio.
Non è un’istruzione pratica o un direttorio, ma piuttosto una meditazione che aiuta a comprendere la bellezza della celebrazione liturgica. Un invito a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza del rito. Perché la liturgia non ha nulla a che vedere con il moralismo ascetico.

“Desiderio desideravi” in 65 paragrafi

Il documento è suddiviso in sessantacinque paragrafi. E propone una serie di spunti sulla teologia della liturgia, come fondamento dell’itinerario di formazione che tende ad un reale coinvolgimento esistenziale con la persona di Cristo nella comunione.

La liturgia della Parola precede e prepara la celebrazione eucaristica del sacrificio della croce. E con il rito della Comunione   i fedeli si “nutrono” del Corpo e del Sangue di Cristo che va “donato” e non “distribuito”.
L’offerta del dono sollecita, infatti, una particolare gestualità nel segno esteriore  che un tempo era ben codificato dallo stare in ginocchio. E anche dalla comunione in bocca, e dal piattino per non perdere le briciole.

Ora, con la distribuzione della Comunione in piedi e nella mano, sembra quasi venir meno quella sacralità d’un tempo. I molti segni liturgici che nella storia della Chiesa hanno reso solenne, originale e unica la liturgia e la celebrazione della S. Messa sono stati semplificati. E gran parte di tali segni si sono perduti e con essi anche alcune valenze simboliche e sostanziali del “sacro rito”.
Anche lo stare in ginocchio durante la consacrazione, il suono del campanello, sono lasciati alla libera adesione personale.lettera apostolica Papa

“Desiderio desideravi”per correggere la banalizazione della liturgia

Al n. 22 del documento si legge: “La bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubrica e formalità esteriore” ma si constata che la gestualità liturgica, un tempo forse troppo carica di rubriche, oggi è spesso impregnata di “fantasiosa creatività liturgica”. E spesso scade in “sciatta banalità, ignorante superficialità, esasperato funzionalismo pratico” .

La liturgia appare banalizzata anche nei paramenti che in estate si riducono al semplice stolone verde. O addirittura con la Messa celebrata a mare su un materassino galleggiante ed il prete in costume da bagno.

Dov’è lo stupore del mistero pasquale e la gioia dell’incontro?
Lo stupore per il mistero pasquale che si rinnova nella celebrazione porta all’adorazione (26) che non sempre appare evidente in alcune celebrazioni “avendo l’uomo moderno perso la capacità di confrontarsi con l’agire simbolico, tratto essenziale dell’atto liturgico”. (27)

“Desiderio desideravi” e l’arte del celebrare

All’ars celebrandi il documento pontificio dedica i paragrafi dal n. 48 in poi , evidenziando che ogni arte richiede specifiche conoscenze su come lo Spirito Santo agisce in ogni celebrazione. Ed è necessario conoscere le dinamiche del linguaggio simbolico, la sua peculiarità, la sua efficacia.

L’arte del celebrare non si può, infatti, improvvisare. “Come ogni arte richiede applicazione assidua. Ad un artigiano basta la tecnica; ad un artista, oltre alle conoscenze tecniche, non può mancare l’ispirazione che è una forma positiva di possessione: l’artista, quello vero, non possiede un’arte, ne è posseduto.
La nuova liturgia sollecita appunto tale “metanoia” nel fare e nell’insegnare vedendo fare.
Il fedele osserva i gesti del sacerdote e comprende anche se sono soltanto formali e rituali o espressione di vera fede.

Le citazioni dei documenti conciliari: “La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa, “fonte primaria di quel divino scambio nel quale viene comunicata la vita di Dio, la prima scuola del nostro animo, il primo dono al popolo cristiano, il primo invito all’umanità  a sciogliere la sua lingua  muta in preghiere sante e sincere” (30) se riletti con riferimenti all’oggi non trovano riscontro sia nel “divino scambio”, sia nella “muta preghiera” che non  sempre trova spazio nella celebrazione.

La lettera apostolica “Desiderio desideravi” in un momento di crisi generale

La lettera apostolica nella citazione evangelica al n. 83 esprime il “desiderare ardentemente” del Papa che lo studio della liturgia, e la conoscenza dello sviluppo del celebrare cristiano, guidi i fedeli nell’essere “capaci di comprendere i testi delle preghiere, i dinamismi rituali, la loro valenza antropologica” (35), sembrano vanificate o poco valorizzate.

La lettera è pervenuta in un particolare momento di crisi generale e mondiale per la guerra e la pandemia; crisi economica per l’aumento del costo della vita; crisi politica per la caduta del governo. E in prossimità dell’estate non è stata ancora oggetto di attenta lettura e di meditazione in vista del recupero dei pezzi che si sono perduti lungo la strada.

Gli spunti sulla teologia della liturgia, come fondamento dell’itinerario di formazione, dovrebbero produrre, secondo il desiderio del Papa “un reale coinvolgimento esistenziale con la persona di Cristo Gesù”.

Chi, come e quando tutto ciò avverrà? Come crescere nella capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? Continueremo a stupirci di ciò che nella celebrazione accade sotto i nostri occhi? Come tornare ad essere capaci di simboli e come tornare a saperli leggere per poterli vivere?

La bellezza  dell’arte del celebrare

Sono gli interrogativi che la lettera pone nei diversi paragrafi ( 31  e 45) e chissà se viene da tutti condivisa la considerazione che “L’umanità contemporanea deve diventare nuovamente capace di simboli e questo recupero avviene solo riacquistando fiducia nei confronti della creazione,” come afferma Guardini.

Al paragrafo 46 si legge inoltre: “Se le cose create sono parte irrinunciabile dell’agire sacramentale che opera la nostra salvezza, dobbiamo predisporci nei loro confronti con uno sguardo nuovo, non superficiale, rispettoso, grato”.

Un’altra citazione di Guardini al n. 50 invita a riflettere: Dobbiamo renderci conto di quanto profondamente siamo ancora radicati nell’individualismo e nel soggettivismo, di quanto siamo disabituati al richiamo delle grandezze e di quanto sia piccola la misura della nostra vita religiosa.
Deve risvegliarsi il senso dello stile grande della preghiera, la volontà di coinvolgere anche in essa la nostra esistenza. Ma la via verso queste mete è la disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso».
È così che si impara l’arte del celebrare.

La celebrazione della Messa domenicale, prima di essere un precetto, è un dono che Dio fa al suo popolo. Concreto segno di comunione fraterna che si fa condivisione, accoglienza, servizio e alimentata dalla forza dell’Eucarestia diventa viatico per il cammino settimanale.

Nel saluto finale della celebrazione, un tempo con la formula “Ite Missa est”, non si evidenzia soltanto con la formula “La messa è finita, andate in pace” o con il saluto augurale di una buona domenica, ma sintetizza la consegna dell’impegno di annuncio del Vangelo che l’omelia dovrebbe aver esplicitato. Rileggendo il messaggio evangelico in vista di una traduzione nella concretezza della vita quotidiana, illuminata dalla Parola del Risorto. Domenica, dopo domenica, attraverso una celebrazione piena e partecipata, si tempra lo spirito e si consolida l’identità di cristiani, fedeli e testimoni del Vangelo.

Giuseppe Adernò

 

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