Ifet Mustafic, consigliere per le relazioni interreligiose della comunità islamica di Bosnia e Erzegovina: “È il tempo di ricominciare a fidarsi gli uni degli altri”. Monsignor Luigi Pezzuto, nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina: “Il Papa non viene solo per i cattolici ma per incentivare il dialogo… È positivo che si intendano i capi, ma coinvolgere la società civile lo è altrettanto”
“Tutti amano il Papa”: dice Meho, di professione tassista, mentre spinge sull’acceleratore sfrecciando sulla Zmaja od Bosne la lunga arteria, al tempo dell’assedio tristemente nota come il Viale dei Cecchini, e oggi largo viale alberato che porta dentro Sarajevo. Ai lati dello stradone una fila di manifesti raffiguranti Papa Francesco, con le bandiere bosniache e quelle gialle e bianche dello Stato Vaticano. Ovunque si pulisce, si taglia erba, si piantano fiori e si potano alberi. Sarajevo si rifà il trucco aspettando Papa Francesco, che arriverà il 6 giugno “come un fratello messaggero di pace”. Tuttavia nessun maquillage potrà mai nascondere le ferite ancora aperte di questa terra segnata da una guerra (1992-1995) le cui devastazioni sono ancora ben visibili nei muri dei palazzi crivellati di colpi, nelle “rose di Sarajevo” – crateri a forma di rosa provocati dall’impatto delle granate sull’asfalto, e colorati di rosso per ricordare il sangue di chi vi è rimasto ucciso – e nei cimiteri disseminati dentro la città. Solo il fiume Miljacka continua a scorrere placido mentre frotte di turisti e pellegrini lo attraversano indisturbati diretti chi verso Bascarsija, la città vecchia, con il suo dedalo di vicoli tra i quali si staglia la Gazi Husrev-begova, la più grande moschea di Sarajevo e chi verso Ferhadija, l’isola pedonale, luogo di raduno e di ‘struscio’ giovanile. Nei piccoli negozi di souvenir e tra gli ambulanti sulla strada si notano magliette con l’immagine di Francesco, calamite con i colori della Santa Sede, tazze con l’effige papale e per i più nostalgici, anche spille con il maresciallo Tito. Oggi è previsto il grosso dei pellegrini, oltre 600 bus. Ai bosniaci si aggiungeranno quelli serbi, croati, ungheresi, sloveni, austriaci, tedeschi e anche italiani. L’attesa per l’arrivo del Papa si farà, così, ancora più palpabile. Presso la sala stampa, attigua allo stadio Kosevo, dove oltre 60mila pellegrini assisteranno alla messa celebrata dal Papa, sono accreditati 800 giornalisti di varie nazionalità.
Sulle 11 ore che Papa Francesco passerà a Sarajevo – arrivo alle 9.00 e partenza alle 20.00 – si appuntano le speranze di un popolo che cerca di risollevarsi da un recente passato di guerra. Bene lo ha capito il Pontefice che nel videomessaggio registrato in preparazione alla visita, aveva ripetuto: “vengo tra voi con l’aiuto di Dio, per confermare nella fede i fedeli cattolici, per sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso, e soprattutto per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese”. Ottimista a riguardo si mostra anche monsignor Luigi Pezzuto, nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina: “Nonostante le difficoltà ho una visione speranzosa per questo Paese, vent’anni dopo la guerra. Passi in avanti verso la pace ne sono stati fatti ma non possiamo ancora dire che sia una pace completa e perfetta. È in corso un processo di fortificazione della pace, anche perché la gente non vuole più esperienze di guerra. La Bosnia Erzegovina deve camminare col proprio passo. Noi dobbiamo accompagnarla, senza lasciarla indietro”. “Il Papa – conclude mons. Pezzuto – non viene solo per i cattolici ma per incentivare il dialogo tra le varie componenti etniche e religiose che costituiscono la Bosnia. È il momento di allargare questo dialogo e di coinvolgere la base. È positivo che si intendano i capi, ma coinvolgere la società civile lo è altrettanto”. È d’accordo anche Ifet Mustafic, consigliere per le relazioni interreligiose della comunità islamica di Bosnia e Erzegovina. La speranza è che la visita di Papa Francesco aiuti a “costruire la fiducia tra le diverse comunità” perché “è il tempo di ricominciare a fidarsi gli uni degli altri”. Riprendere fiducia: è la grande “sfida” che i fedeli musulmani, ortodossi, cattolici e ebrei del Paese devono affrontare promuovendo innanzitutto il dialogo interreligioso. Mustafic fa parte del Consiglio interreligioso, riconosciuto dal governo di Bosnia Erzegovina, che favorisce l’incontro tra i leader cattolici, cristiani, islamici e ebrei e che tratta i rapporti tra le comunità religiose e lo Stato. “Ogni passo avanti nel cammino del dialogo è una risposta alla sfida in atto”, afferma convinto il consigliere che sarà uno dei 50 esponenti della delegazione islamica che parteciperanno domani all’incontro ecumenico e interreligioso con Papa Francesco.
dall’inviato Sir a Sarajevo, Daniele Rocchi