G7 / A Taormina una grande occasione da non mancare per lo sviluppo ecosostenibile del Pianeta

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Il vertice del G/7, il 26 e 27 maggio a Taormina: un’occasione da non mancare per soddisfare la crescita equilibrata e lo sviluppo sostenibile del Pianeta, con la cooperazione economica internazionale, e per riflettere sul messaggio di riconciliazione, speranza e pace, presente nell’incancellabile ricordo della memoria del Presidente John Kennedy, a 100 anni dalla nascita.

L’incontro al Vertice dei Capi di Stato e di Governo, appartenenti al G/7, che questa volta è in programma a Taormina, ripropone in una cornice storica e paesaggistica d’eccezione, e perciò di inestimabile valore, per le bellezze naturali, artistiche e architettoniche, il confronto ormai periodico, opportuno e necessario, tra i leaders delle Nazioni, affinché, rinvigorita la comunione d’intenti, indirizzi, azioni e giuste motivazioni, sia possibile farla corrispondere alle giuste attese, contenute nelle preoccupate riflessioni dell’umanità del nostro tempo.

É, quindi, di vivo interesse poter cogliere questo insieme di pareri attraverso lo scambio e l’incrocio delle opinioni, particolarmente tra i leaders in scadenza, per fine mandato parlamentare, (come il Cancelliere della Germania Federale, con Organi legislativi da rinnovare quanto prima, ed il Premier italiano, con Assemblee parlamentari da rieleggere all’orizzonte del prossimo anno) e quelli di nuova investitura, e, tra questi l’appena eletto presidente francese, al debutto sulla scena internazionale, ed il presidente americano ed il Primo Ministro inglese, già da diversi mesi in carica, ma tuttavia, al loro primo appuntamento in un G/7 istituzionale, in rappresentanza dei rispettivi Paesi. Sono prevedibili differenze di punti di vista e probabilmente divergenti soluzioni, perfino all’interno stesso del gruppo dei leaders europei, e tra questi ultimi ed i colleghi delle altre tre Nazioni, per esempio, sul problema migratorio. Sarà possibile far scaturire qualche soluzione comune, nella continuità della delega all’assistenza, al certamente rilevante impegno delle O.N.G.? Non sarebbe anche il momento, ora, di approfondire in modo specifico le cause del fenomeno, e di intervenire su di esse, con un’azione profonda, di argine e freno, alla contese regionali, alle guerre, alle persecuzioni etniche, religiose o razziali? Le origini, in definitiva, di questo grande dramma, hanno diverse radici e, solo in parte, possono essere annoverate come semplici, quasi fisiologiche, aspirazioni al miglioramento delle condizioni di vita, del livello e dello stile, esistenziali.

Altro punto di divisione, evocato o almeno, ipotizzato o immaginato, potrebbe essere la disputa tra il presidente americano, da un lato, e gli altri leaders europei dall’altro, apparentemente divisi dal proposto innalzamento delle tariffe doganali, che gli Stati Uniti vorrebbero forse introdurre per tutelare meglio, i prodotti nazionali, mentre gli altri partners della Comunità Europea, sarebbe di contrario avviso. Sarebbe possibile coniugare una qualche forma di protezionismo economico, con la cooperazione internazionale? Non sarebbe, il passaggio doganale, un grave ostacolo, un forte pregiudizio alla collaborazione, sempre necessaria, tra Paesi e Popoli?

E, per passare ad un altro esempio, che dire dei trasferimenti e degli aiuti economici ai Paesi poveri? Come dovranno essere elargiti, tali sostegni? Con quali sistemi o criteri? Con metodi discrezionali o con parametri rigorosi? Sembra necessario, intanto procedere soprattutto al condono del debito dei Paesi più poveri, verso quelli ricchi. Si troverà, almeno su questo punto, una intesa comune? Quali difese è necessario erigere, a tutela della pace nel Mondo, dopo l’aspra polemica che ha opposto gli Stati Uniti e la Corea del Nord, per lo scudo antimissile, reso disponibile dagli Stati Uniti a favore della Corea del Sud, fatto che ha suscitato le vivissime contrarietà della Cina? Tutti argomenti, sui quali il G/7 dovrà esprimersi. (A questo proposito, sarebbe stato il caso di coinvolgere nelle discussioni, anche la Russia di Putin.) Ma si tratta di un elenco puramente esemplificativo, per non parlare del traffico di esseri umani, ridotti in schiavitù, per non menzionare l’altro grande dramma, quello dei bambini-soldato, e gli ulteriori passi in avanti da compiere, e che tutti si attendono, in merito al rafforzamento dell’intesa sui mutamenti climatici. Se è inevitabile che “a chi più è stato dato, più sarà chiesto”, é anche rilevante auspicare che le discussioni al Vertice servano a “rendere questo Pianeta più vivibile, più abitabile per tutti”, come affermò con determinazione, coraggio e speranza, S. Giovanni Paolo II°.

Per quanto le differenze sulle varie posizioni possano essere rilevanti e anche perfino ripercuotersi sui rimedi e sulle misure da intraprendere, l’opinione pubblica mondiale osserva, tuttavia, con interesse e fiducia, il primato, tra i sette “Grandi”, appartenente indubbiamente agli Stati Uniti, prima potenza planetaria, e, di conseguenza, apprezza il ruolo che, ovviamente, compete e spetta al Capo della Casa Bianca.

Probabilmente è un fatto casuale che sia stato fissato questo vertice a Taormina, il 26 e 27 maggio e che allo stesso tempo, ricorra pure, il successivo 29 maggio, il primo centenario della nascita del grande presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, come pure del tutto eccezionale, dal punto di vista storico, è stata anche la coincidenza esatta del giorno dell’elezione generale dei due presidenti, 8 Novembre 1960 e 2016. È bene registrare, come dato di fatto, che pur essendo collocati in gruppi politicamente dissimili, democratico e liberale, e legato alla cultura Harvardiana, John Kennedy, repubblicano e conservatore, e proveniente dal settore imprenditoriale, l’attuale Presidente, con identico, analogo successo, per entrambi, nelle rispettive aree di provenienza, l’uno nel campo giornalistico e dello studio dei sistemi politici e l’altro, con grandi affermazioni nel mondo economico degli affari, e rendono tuttavia possibili accostamenti tra i diversi elementi di storia comune, sussistenti nella ricostruzione delle due leardership, attraverso le due esperienze elettorali e politiche. John Kennedy stesso valutò infatti che gli americani erano “sostanzialmente conservatori in politica interna, ed internazionalisti in quella estera”, senza che potesse influire in questo giudizio la differenza di appartenenza all’uno o all’altro schieramento, ed è probabilmente, proprio questo che fa collocare entrambi i presidenti come due outsider del sistema politico stesso statunitense, l’uno quale giornalista e scrittore di successo, sottopose ad analisi e valutò con originalità critica e proposte, il sistema politico americano, in rapporto al processo formativo del consenso politico, l’altro, l’attuale presidente, punto di riferimento di assenso e convergenza di una vasta parte dell’opinione pubblica ed anche di quell’elettorato di entrambi i partiti che ha desiderato esprimere in questa occasione anche un voto di protesta verso l’Amministrazione centrale e federale di Washington, considerata per svariati motivi, carente o comunque insoddisfacente.

Taormina – Palazzo dei congressi

Filtrano pure, dalle diverse esperienze politiche, comuni elementi, per esempio, l’apporto di consiglieri ed operatori politici, diffuso in tutti gli Stati, ed idoneo a sostenere lo sforzo organizzativo, profuso all’elezione del candidato-presidente, fino all’ultimo giorno di campagna, con la solida ed autonoma forza economica, su cui poter contare ed anche, infine, con la scarsa dipendenza, dalle strutture organizzative dei rispettivi partiti.

Anche i manifesti pubblicitari delle due campagne elettorali sono parsi poco dissimili e quasi facenti parte di identiche premesse organizzative, nell’uno come nell’altro caso: “Un momento di grandezza, Kennedy Presidente” e “Rendi l’America più forte, Trump Presidente”. Anche nei rispettivi messaggi inaugurali, si sono notate straordinarie convergenze. Il presidente Trump ha indirizzato il suo saluto, parlando a braccio, per circa 15 minuti, agli Stati Uniti, al Mondo, con una allocuzione veramente molto bella, priva di retorica, semplice ed essenziale, diretta all’ascoltatore, che ha pienamente colto lo stile e la tradizione dell’inauguration day statunitense, incoraggiante e ricca di speranza. Pur senza esprimere riferimenti diretti, ha suscitato una grande partecipazione emotiva, evocando ricordi, sempre presenti e vivi, dopo 56 anni, del sogno della “Nuova Frontiera”, che il presidente John Fitzgerald Kennedy promise di realizzare nel corso della sua presidenza e preannunciò nel messaggio inaugurale, del 20 gennaio 1961. La gestione delle imprese in un mercato aperto e solidale e le tutele per i cittadini, secondo il reddito ed in base all’età, hanno costituito un importante conforto di speranza del messaggio stesso, per gli analoghi termini di riferimento con quello del 1961. (“Se una società di uomini liberi non riesce ad aiutare i molti che sono poveri, non potrà salvare i pochi che sono ricchi”).

Ha fatto altresì vibrare pure il cuore d’entusiasmo anche l’attenzione all’ incitamento ed alla sfida per il miglioramento della vita americana, cioè, con altre parole, quello stesso incitamento di John Kennedy a mettersi al lavoro (“anche oltre lo spazio di tempo di questa Amministrazione”) ed a lottare contro (“la miseria, la malattia e la stessa guerra”), due significativi passaggi dell’orazione presidenziale del 20/01/1961.

Un’altra affermazione, importante del presidente Trump, è stata quella dell’auspicio di liberare il Pianeta dalla miseria e della contemporanea liberazione di energia dal Pianeta, e tale significativa riflessione ha trovato una evidente, indubbia somiglianza, nella preoccupata analisi dell’allocuzione del 1961, che “l’uomo detiene il potere di abolire ogni forma di miseria ed ogni forma di vita” e la connessione tra le due espressioni dialettiche ha lasciato trasparire le stesse speranze, le medesime preoccupazioni e gli identici rischi, specifici dell’era nucleare.

Una delle due elipiste approntate in occasione del G7

L’assicurazione che “l’America forte incrementa le spese del bilancio militare” è parsa fare logico riferimento a quella stessa America forte che, 56 anni fa, “era convinta che solo quando le armi saranno sufficienti, sarà sicura di non doverli impiegare mai”.

Sul fronte interno, la Casa Bianca ha fatto chiaramente intendere di voler ritornare ad una politica di forte ossigeno al dollaro, in campo economico e finanziario, e di sostegno all’occupazione, per mezzo della concessione di larghi sgravi fiscali e la promozione di forti investimenti pubblici, cioè proprio con quella stessa iniziativa politica che, nel 1961, fu parte del programma economico, della nuova Amministrazione Kennedy. Nonostante lo scetticismo e le obiezioni di Paul Samuelson, il quale consigliava al presidente di svalutare il dollaro, John Kennedy accolse invece i pareri di altri economisti, quali Walter Heller e John Kenneth Galbraith, ed applicò con successo diverse misure per proteggere la moneta.

Donald Trump ha in programma la tutela della piena occupazione, la ricostruzione di strade, ferrovie, per rendere il paese più moderno, e favorire la competizione nei trasporti, il rinnovamento dell’architettura delle città americane, e la moltiplicazione delle forze-lavoro. Da tutto questo è scaturito lo slogan più importante di tutta la campagna, il messaggio più persuasivo, “l’America First”, l’imperativo, cioè di far avanzare il Paese all’interno. L’esecutivo intende riunire la lotta contro la disoccupazione ed una politica in grado di arginare efficacemente i fenomeni criminali, con la promozione di condizioni sociali che agiscano in direzione di scoraggiare dall’intraprendere la disavventura del crimine. Da questo sostegno e da questo interesse per quelli rimasti indietro, si coglie un altro fondamentale motivo che collega, in qualche modo, questa Amministrazione allo spirito della Nuova Frontiera del presidente John Kennedy. Nel 1960, vi fu la polemica politica contro i ritardi nella crescita, dell’Amministrazione allora in carica, mentre oggi Donald Trump ha saputo, con realismo ed intelligenza politica, catturare il consenso intorno ad una linea che ha promosso l’alleggerimento delle tasse, che ha colto nell’eccesso di fiscalità, la penalizzazione del ceto medio e di quello medio-basso, che ha attribuito colpa, alla politica di Obama, per la diminuzione del reddito, sia considerato come valore dello stesso stipendio, sia come riduzione secca dei posti di lavoro, sia come ingiustificato aumento del prelievo fiscale per quelle due particolari categorie sociali, prelievo fiscale che in genere, comunque, negli Stati Uniti, è abbastanza elevato.

L’allocuzione d’insediamento del presidente Trump ha certamente smorzato certi toni di rigida contrapposizione, caratteristiche, per quanto concerne la politica estera, più da epoca passata che attuale, per quanto concerne la politica estera. Le speranze di pace sono parse rafforzate ed il tono ha diffuso un certo ottimismo. Peraltro, le crisi sono sempre in agguato, ed a volte entrano quasi inavvertitamente in campo e, quasi involontariamente, attraggono il presidente stesso; a volte lasciano sul campo qualche aspetto positivo, per esempio, una migliore unità di intenti nel Paese, una maggiore, ritrovata, coesione ed un migliore consenso, come convergenza, su altre questioni di specifico interesse. La crisi coreana, pochi giorni dopo l’insediamento di questa Amministrazione che, non bisogna dimenticarlo, ha prevalso in una campagna elettorale, molto incerta e combattuta fino alla fine, così come fu quella di John Kennedy nel 1960, che fu eletto alla Casa Bianca col voto di mezza America, ricorda molto qualche analogia con la questione Laotiana del 1961. Il presidente Kennedy inviò allora le navi da guerra con i marines a bordo, nel Mar Cinese meridionale, ed il rischio di uno scontro per il Laos, tra gli Stati Uniti e la Cina, fu presente. I consiglieri militari proponevano al presidente l’invasione del Laos e la guerra. Poi, prevalsero altri pareri e di un avviso diverso, riportati Leaders del Congresso e dagli altri consiglieri politici, del cerchio più stretto al presidente. Il leader statunitense intraprese, tra maggio e giugno 1961, il primo viaggio in Europa, dopo l’elezione per incontrare il Primo Ministro dell’Unione Sovietica, Nikita Sergeevic Khrushchew, e in quell’occasione, visitò pure la

Il Teatro Greco

Francia e la Gran Bretagna e poté vedere il presidente De Gaulle ed il Primo Ministro McMillan. Discutendo del Laos, notò la coincidenza dei pareri dei colleghi, francese ed inglese, con quelli, in precedenza espressi, dai collaboratori e leaders del Congresso americano. Tutti si dichiararono per un accomodamento, e così infatti avvenne, con un compromesso, per il Laos neutrale, con soddisfazione anche dell’Unione Sovietica e della Cina, e rispetto del diritto internazionale. Artefice dell’accordo fu Averell Harrimann, il miglior negoziatore a disposizione, a quel tempo, dell’Amministrazione Kennedy. Anche in questa occasione, il G/7 dibatterà a Taormina le alternative di sempre: maggiori spese militari o più aiuti economici all’estero? Far prevalere le rivalità, od assumere più forti iniziative, per far diminuire la tensione? Gli Stati Uniti hanno avuto sempre l’ambizione di volersi affermare come modello alle altre Nazioni del Mondo, di promozione dei valori nazionali, sia sotto il profilo dell’incremento dello sviluppo economico, sia come affermazione della giustizia sociale, e per la considerazione rivolta ai concetti di libertà e di democrazia, in sé stessi considerati. L’Alleanza per il Progresso ed il Peace Corps furono due tra i molti ed importanti strumenti, che valorizzarono la politica estera del presidente Kennedy, ma, l’etica stessa del negoziato sempre, anche nel corso delle crisi più difficili e pericolose, cui il Capo della Casa Bianca fece fronte, dimostrò però al Mondo, che si poteva esercitare il potere, con lungimiranza, senza preconcetti e senza pregiudizi, verso alcuna Nazione della Terra.

Quello fu probabilmente l’unico modo attraverso cui “i forti fossero giusti, i deboli sicuri e la pace una garanzia”. Allora, la necessità di trovare basi comuni, di discussione e collaborazione tra le grandi Potenze del Mondo, è fatto ineludibile e necessario, e soprattutto costituisce il grande messaggio e la preziosa eredità che il presidente nella “Nuova Frontiera” ha lasciato agli uomini di Stato di questa nostra epoca ed è parimenti quanto sopravvive di quegli ideali, e di quei grandi valori morali, che animarono i 1036 giorni di John Kennedy alla Casa Bianca e, quella l’esperienza governativa, forse irripetibile. E, ripensando a quella grande epoca storica, non possiamo non contare anche su quel decisivo indirizzo politico, che dovrà sostenere ed incoraggiare sempre i Capi delle Nazioni, e, quindi, anche questo G/7 del 26 e 27 maggio, a Taormina.

Sebastiano Catalano

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