Sfidavano i treni ad alta velocità sulla linea Bologna -Milano ma la videosorveglianza li ha immortalati. Ieri, alla periferia di Bologna, quattro ragazzini hanno attraversato i binari e si sono allontanati poco prima dell’arrivo del Frecciargento 8523, peraltro bloccato dal macchinista che li aveva notati in lontananza riuscendo ad arrestare la corsa del convoglio. Il conducente ha fermato uno dei ragazzi – che ha meno di 14 anni, quindi non imputabile – ammonito dall’addetto del treno sulla pericolosità del gesto e riaffidato ai genitori. Gli altri tre sono riusciti ad allontanarsi e sono stati identificati dalla Polfer.
L’episodio segue di pochi giorni quello successo a Borgo Panigale, dove otto minori avevano tenuto lo stesso comportamento. A notarli, mentre si scattavano selfie sui binari, un agente della Polizia ferroviaria che ne ha identificati tre, poi sanzionati. Ma questi non sono che gli ultimi casi di una lunga serie che vede giovanissimi cimentarsi in imprese impossibili a volte, purtroppo, con esiti mortali: salti da un tetto all’altro di grattacieli, sfide all’autosoffocamento, attesa delle auto sdraiati sull’asfalto per spostarsi all’ultimo istante; gesti estremi da immortalare in un selfie da mettere in rete per renderli pubblici e visibili a tutti. Ne parliamo con un’esperta: Maria Beatrice Toro, docente di psicologia di comunità presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium.
Che cosa spinge questi ragazzi a questi comportamenti così estremi?
La ricerca di sensazioni forti e la protesta verso il mondo degli adulti insieme alla mancata consapevolezza del rischio. Le gare spericolate in auto o in moto avvenivano anche in passato, ma qui si tratta di ragazzini che non sanno valutare il movimento del proprio corpo nello spazio, l’effettività delle loro azioni. Spesso non hanno mai giocato per la strada; non hanno toccato i propri limiti fisici. Cresciuti per lo più in casa davanti alla consolle o al pc, hanno poca dimestichezza con una realtà diversa da quella del computer o del telefonino. Non giocano più a pallone in strada, non cadono più sbucciandosi e ginocchia. Le uniche ferite che conoscono sono quelle dei videogames dove si muore e si rinasce, si ri-muore e si rinasce ancora. In tutto questo c’è
una tragica e fatale inesperienza.
Si tratta di ragazzini che dal punto di vista virtuale hanno fatto migliaia di esperienze e raccolto migliaia di informazioni, ma che presentano uno scollamento tra la loro visione di realtà e la realtà vera, la fisicità del corpo e del vivere.
L’attrazione per il rischio e il proibito, la sfida al mondo adulto, il gusto dell’andare “oltre” sono da sempre caratteristiche dell’adolescenza. Che cosa c’è di nuovo?
Accanto a questi aspetti “vecchi” c’è un elemento nuovo: questi adolescenti non hanno la percezione del rischio che corrono.
Quello che è nuovo è l’incongruità del gesto,
dovuta, da un lato, all’immaturità neurologica; dall’altro alla mancanza di esperienze vere e di senso del limite. Un mix cui si aggiunge la spasmodica ricerca di qualcosa di dirompente per farsi notare e ascoltare in un mondo fatto di milioni di voci:
esisto solo se qualcuno mi vede, e più like ricevo, più esisto.
Dunque un disperato bisogno di attenzione. Ma perché?
Quando sono piccoli, i figli vengono quasi oppressi dalle coccole e dalle attenzioni dei genitori. Poi, man mano che crescono iniziano a ribellarsi e tentano di “allontanarsi” con atteggiamenti provocatori che spesso spiazzano i genitori incapaci di passare dalla genitorialità di un bambino a quella, più impegnativa, di un adolescente. Genitori oltretutto in una fase di vita difficile da reggere, schiacciati tra impegno lavorativo, cura di figli adolescenti e accudimento di genitori anziani. I regali che sorprendono non servono, e neppure la settimana di vacanza insieme. Quello che occorre, e che invece viene meno, è
una presenza costante, semplice, discreta, nella vita ordinaria di tutti i giorni.
Bisogna trovare, anche se è estremamente faticoso, tempo da trascorrere con i nostri ragazzi. È agghiacciante che un genitore non sappia che il proprio figlio attui certi comportamenti, che però non nascono all’improvviso ma sono preceduti da una serie di segnali di cambiamento, di campanelli d’allarme che non vanno trascurati.
Che cosa consiglierebbe, dunque, ai genitori?
Anzitutto, come dicevo, una presenza non invadente ma costante, costruita negli anni avviando il dialogo con i figli fin da piccoli, stabilendo regole chiare, modulando i tempi con i loro, rispettando i loro spazi ma osservandoli, accompagnandoli e andandoli a riprendere nelle loro prime uscite serali. Faticoso ma indispensabile:
a 14-15 anni niente mini car né rientro libero la sera.
Poi dovrebbero cercare di fare rete stringendo
alleanze con altri genitori, insegnanti, catechisti
per conoscerli anche indirettamente attraverso l’aiuto di figure che possano allertarli se colgono segnali o campanelli d’allarme che a loro possono sfuggire. Sono i ragazzi fragili quelli più a rischio: se un adolescente non è ben integrato nel gruppo, va male a scuola, non mangia, dorme male sta esprimendo segnali di disagio da non trascurare. Preziosa anche l’alleanza con fratelli e sorelle più grandi, cugini e, se ci sono, zii e zie più giovani perché spesso i ragazzi ascoltano più volentieri loro che i genitori. Ma questi ultimi non sono onnipotenti: di fronte ad un figlio che non esce, si isola, dà segni di sofferenza, occorre avere il coraggio di chiedere un aiuto anche specialistico. Viviamo in una società difficile: per i ragazzi più vulnerabili occorre costruire un cordone sanitario; un recinto di amore, affettività, presenza, sostegno, l’unica cosa che può salvarli.
Giovanna Pasqualin Traversa