Dopo il terremoto e lo tsunami in Giappone che ha provocato migliaia di morti e una distruzione immane, il mondo è ora con il fiato sospeso per il rischio di una nuova emergenza nucleare. Due nuove esplosioni si sono infatti provocate nella centrale nucleare di Fukushima, nel nord del Giappone, con sette persone disperse e tre feriti. Centinaia di migliaia di persone sono state evacuate, le autorità minimizzano la portata degli incidenti ma tutti hanno paura. E si riapre il dibattito anche in Italia. Ne abbiamo parlato con Matteo Mascia, esperto della Fondazione Lanza.
Rischiamo una nuova Cernobyl?
“Il pericolo è evidente. Forse sapremo solo più avanti quali incidenti sono effettivamente accaduti e con quali conseguenze. Sicuramente lo stato di rischio è molto elevato. Di fronte a queste situazioni c’è un tentativo di tenere sotto controllo le notizie per evitare il panico. È chiaro che nell’area delle centrali i rischi per la salute delle persone sono mortali e drammatici. Per tutti gli altri le conseguenze saranno pesanti per gli anni a venire, soprattutto per le future generazioni. A Cernobyl si ruppe il tetto che copriva il reattore e ci fu una fuoriuscita di materiale radioattivo verso l’alto. In Giappone il rischio principale mi sembra dovuto al fatto che il terremoto abbia rotto i pavimenti sottostanti e l’eventuale fusione nucleare va verso l’alto ma anche verso le falde, con l’impossibilità di riuscire a recuperare la materia radioattiva. Ma il problema del nucleare – e ne abbiamo avuto esperienza con Cernobyl – è che le radiazioni si spostano con il vento, la pioggia, e le conseguenze si avranno a distanza di migliaia e migliaia di km su altre popolazioni. Non è il caso di sminuire i rischi sulla salute. Anche se il vento soffiasse solo verso il Pacifico non dimentichiamo che noi siamo parte dell’ambiente naturale: se a subire le conseguenze saranno gli esseri viventi dell’Oceano, ci saranno comunque ritorni negativi sulla salute di tutti”.
Perfino un Paese altamente tecnologico come il Giappone, di fronte ad eventi imprevisti, non è riuscito a garantire la sicurezza delle centrali… A questo punto è necessaria una riflessione anche in Italia, dove il dibattito sul nucleare è acceso.
“Quello che sta accadendo dimostra che, per quanto l’uomo riesca a prevedere dei margini di sicurezza, la natura non li rispetta. Il reattore era stato progettato per resistere a scosse di 6 gradi della scala Richter, ma la scossa è stata quasi del 9° grado. Non si pensava che in quella zona si potesse avere un terremoto di quelle dimensioni, invece è avvenuto. Quando ci si trova a gestire tecnologie ad alto rischio come il nucleare, i margini di sicurezza non sono mai sufficienti. Non si tengono in considerazione, ad esempio, i possibili eventi imprevisti dovuti ai cambiamenti climatici. Sono margini sui quali bisognerebbe aprire una riflessione onesta anche nel mondo scientifico. Non so se il nostro Paese sarà capace di realizzare, su questi temi, un confronto franco sui rischi, la gestione della sicurezza, i costi, una effettiva trasparenza. L’impressione è che si vada avanti solo per schemi ideologici per cui o si è favore o si è contro il nucleare, senza entrare nel merito delle questioni, che sono tante. Bisogna uscire dalla logica ideologica e affrontare i problemi”.
La preoccupazione per la salute può far nascere un consenso trasversale in grado di influire sulle decisioni politiche, nonostante le pressioni di altre lobby?
“Certamente sì. Su temi come la salute, la sicurezza, l’acqua, è difficile mantenersi dentro uno schieramento politico o culturale. Anche sul tema del nucleare la gente si sente coinvolta. Ciò di cui abbiamo più bisogno in Italia è un piano energetico nazionale sulle esigenze energetiche: quali priorità, quali prospettive e scenari diversi, sulla base di dati, il più possibile condivisi anche dal mondo scientifico. Politica e scienza dovrebbero cercare criteri comuni su cui sviluppare una riflessione che porterà a delle scelte. E chi fa le scelte se ne assumerà la responsabilità”.
Com’è la posizione della Chiesa sul nucleare a scopi civili?
“In questi ultimi anni la Chiesa ha detto parole importanti e forti sulla salvaguardia del creato. Negli ultimi documenti pontifici è emerso un indirizzo forte: necessità di collaborare sull’efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili. Non chiude la strada alla ricerca scientifica, al nucleare di fissione, ma indica la necessità di lavorare soprattutto sul fronte degli stili di vita: consumare di meno, usare risorse rinnovabili, cercare l’efficienza energetica e rispettare l’ambiente. Non dimentichiamo che con il nucleare l’estrazione dell’uranio ha conseguenze molto negative sull’ambiente e poi nessun Paese al mondo ha risolto il problema di dove mettere le scorie, con un forte rischio di inquinamento radioattivo per le future generazioni”.
a cura di Patrizia Caiffa