Giornata della donna: ricordo di Ilse Weber che cantava ninne nanne anche ad Auschwitz, ma non fece più ritorno

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imagesCAWMOMM4Racconta storie fantastiche, scandisce le parole di versi dal sapore antico e intona le dolci melodie che invitano al riposo. Quelle ninne nanne, Ilse, le canta al suo bambino e agli altri quattordici piccoli ricoverati nel reparto pediatrico dell’ospedale di Theresienstadt, nell’allora Cecoslovacchia. Quei bambini sono diventati tutti un po’ suoi figli.
Ilse conosce la forza di quelle manciate di note, sa che quelle parole sussurrate con dolcezza sono come la più dolce delle medicine, capace di scacciare – seppure per poco – la paura e il dolore.
Ilse non smette di cantare quelle ninne nanne nemmeno in quella tragica notte dell’ottobre 1944, quando lei, suo figlio e i piccoli pazienti del reparto vengono prelevati a forza per essere trasferiti ad Auschwitz. Da dove – come centinaia di migliaia di altre persone – non avrebbero più fatto ritorno.
Nei giorni scorsi quelle melodie, rimaste a lungo nascoste in una valigia a Theresienstadt, sono tornate a risuonare a Merano, proposte dal trio “Arsrosa”.
Un omaggio in vista della festa della donna, quello che le tre musiciste meranesi hanno voluto fare a Ilse Weber, autrice di fiabe e valente musicista, che per amore seppe rispondere alla cieca e insensata violenza che stava vivendo, intonando note di speranza.
Tante, troppe, sono ancora oggi le donne che sperimentano il sapore amaro del dolore, vedono riflessa nei loro occhi la cecità della violenza, che si consuma spesso tra le mura di casa. Là dove si pensa di essere al sicuro.
Tante, troppe, sono ancora oggi le donne che devono fare i conti con l’arroganza del potere che dilaga in una società sempre più stressata e sempre più insoddisfatta. Ce lo scandiscono le cronache di questi ultimi anni.
Qualche settimana fa, il dolore si è fatto ancora una volta musica ed ha abbracciato le donne di tutto il mondo in un flash mob che ha coinvolto intere generazioni.
“Quando avrà fine la sofferenza?” si chiedeva Ilse Weber. Una domanda a cui ancora oggi non sappiamo dare una risposta certa. Né mai, forse, saremo in grado di darla. Ma alla sofferenza si può comunque rispondere, come ha fatto Ilse e come hanno fatto tante donne (molte delle quali sono sconosciute alle cronache) percorrendo strade di speranza, rispondendo all’arroganza con la pazienza. Perché anche nel buio della notte, la pazienza e la speranza ci permettono di guardare con fiducia all’aurora che ci annuncia l’arrivo di un nuovo giorno.

Irene Argentiero

direttore “Il Segno” (Bolzano-Bressanone)