Papa Francesco ha partecipato alla veglia di preghiera promossa dall’associazione Libera per i familiari delle vittime della mafia, alla vigilia della “Giornata della memoria e dell’impegno” che quest’anno si svolge a Latina. Letti i nomi delle 842 vittime. Ricordato anche il bimbo ucciso nel Tarantino. Questa è la Chiesa che “interferisce”, ha sottolineato don Luigi Ciotti, presidente di Libera.
“Per favore, cambiate vita! Convertitevi, fermatevi di fare il male!”. “Convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, per il vostro bene!”. “Avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro!”. Con questo imperativo perentorio, ripetuto per tre volte e rivolto ai mafiosi, come un “filo rosso” che lega le parole di oggi a quelle pronunciate dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Papa Francesco ha concluso il suo breve ma intenso discorso, pronunciato interamente a braccio al termine della veglia di preghiera per le vittime di tutte le mafie. Il Papa è arrivato nella parrocchia romana di san Gregorio VII, a poche decine di metri da Casa Santa Marta, poco dopo le 17.30, mano nella mano con don Luigi Ciotti. Per la prima volta, un Papa partecipa alla veglia di preghiera promossa dall’associazione Libera per i familiari delle vittime della mafia, alla vigilia della “Giornata della memoria e dell’impegno” che quest’anno si svolge a Latina. “Convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio”, dice Francesco, e il suo grido sussurrato ricorda – ma a posizioni invertite – quello di Rosaria Schifani, la vedova di Vito, uno degli agenti di scorta del giudice Falcone. Aveva 22 anni e un figlio piccolo, quando ai funerali disse tra le lacrime ai mafiosi: “Io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio”. Oggi anche lei è qui, insieme a un migliaio di familiari, e legge alcuni degli 842 nomi delle vittime di tutte le mafie – tra cui 80 bambini – compreso quello di suo marito e degli altri agenti della scorta. Poi aggiunge, tra gli applausi: “Grazie, Gesù, perché in questi anni non mi sono mai persa d’animo”. La veglia inizia con don Ciotti che dice: “Chi perde la vita per la giustizia e la verità dona la vita, è lui stesso vita” e ricorda il bisogno di verità e di giustizia di chi ha perso un proprio caro per la violenza mafiosa: il 70% di loro aspetta ancora di saziarlo. “Il 21 marzo, primo giorno di primavera, sia anche la primavera della giustizia, della speranza e del perdono”, l’auspicio finale. Per opporre “al grido di dolore per le persone care la Parola della vita”. Tra i nomi che hanno scandito la veglia, quelli di don Pino Puglisi e don Peppe Diana, di cui il Papa ha indossato la stola, benedicendo i familiari delle vittime.
“Grazie per la vostra testimonianza”. È l’omaggio del Papa ai presenti. “Grazie perché non vi siete chiusi – ha proseguito – ma vi siete aperti, siete usciti per raccontare la vostra storia di dolore e di speranza. Questo è tanto importante, soprattutto per i giovani”. “Preghiamo per tutte le vittime”, ha proseguito: “Anche a Taranto, pochi giorni fa, c’è stato un delitto che non ha risparmiato neanche i bambini”. “Preghiamo insieme per trovare la forza di andare avanti, di non scoraggiarci ma di continuare a lottare contro la corruzione”.
Uno scatto. Per contrastare la mafia, “è necessario uno scatto” da parte di tutti, perché la mafia “è un problema sociale e culturale”. Lo ha detto don Ciotti nella parte finale del suo saluto al Papa. Servono “politiche sociali, posti di lavoro, investimenti sulla scuola”. Soprattutto, serve “una politica veramente al servizio del bene comune”, ha denunciato tra gli applausi. Oltre al “rafforzamento della confisca e all’uso sociale dei beni della mafia”, occorre “tutelare, incentivare il percorso coraggioso dei testimoni di giustizia, che antepongono la voce dalla coscienza ai rischi della denuncia”. Ma anche di magistrati, giornalisti, amministratori onesti, cittadini che si sono ribellati, e che non vanno lasciati soli. “Non si può essere cittadini a intermittenza”, ha ammonito il sacerdote, che ha citato una frase di Saveria Antiochia, madre di Roberto, un agente di polizia ucciso dalla mafia: “Quando ti uccidono un figlio sparano anche su di te”. “Oggi dobbiamo dirci con forza insieme che è come se avessero sparato su di noi”.
Vittime sono anche i “morti vivi”. Vittime della mafia – ha precisato don Ciotti – sono anche le persone che si sono trovate in mezzo a un conflitto a fuoco, le vittime sul lavoro, quelle colpite dai tumori in territori avvelenati dai rifiuti tossici, chi ha usato droghe “comprate dai mercanti di morte”, gli immigrati “annegati nel mare o caduti nei deserti”, le donne vittime della tratta. Ma “vittime sono anche i morti vivi”: “Quante persone uccise dentro! Quante persone a cui la mafia ha tolto la dignità e la libertà, persone ricattate, impaurite, svuotate”. Perché “le mafie, la corruzione, l’illegalità, assassinano la speranza”.
La Chiesa “interferisce”. “In passato, e purtroppo accade ancora oggi, non sempre la Chiesa ha prestato attenzione a un problema di così enormi risvolti umani e sociali”, con “silenzi, resistenze, sottovalutazioni, eccessi di prudenza, parole di circostanza”. Ma c’è anche “una Chiesa che interferisce, denunciando senza remore l’incompatibilità tra mafie e Vangelo, anche a costo della vita”. Come per don Pino Puglisi e don Peppino Diana, ma anche come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. O come don Cesare Boschin, ucciso a Borgo Montello, nel Comune di Latina, dove si svolge l’edizione 2014 della “Giornata della memoria e dell’impegno”. “A tutte le vittime della violenza mafiosa, la nostra promessa d’impegno”, ha concluso il fondatore di Libera, accolto da un’ovazione dei presenti, tutti in piedi, che lo hanno lungamente applaudito.
M. Michela Nicolais
(Fonte: SIR)