Papa Francesco considera lo schiavismo come “una piaga gravissima nella carne di Cristo!”. Casi gravissimi a diverse latitudini: i lavoratori vincolati in India, Pakistan, Bangladesh e Nepal; gli “haratin” in Mauritania; gli schiavi bellici dell’Eritrea. E l’elenco, purtroppo, non finisce qui.
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Sono molteplici, a livello planetario, gli abominevoli volti della schiavitù che, misconoscendo il valore della fraternità universale, mina i fondamenti della pace. La maggior parte dei cosiddetti “schiavi moderni” è vittima del lavoro vincolato (bonder labor) in Paesi come l’India, il Pakistan, il Bangladesh e il Nepal. In sostanza si tratta di individui che si consegnano in schiavitù a garanzia di un prestito ricevuto o quando viene ereditato un debito contratto dalla famiglia d’appartenenza. A volte poi capita che si offrano contratti che garantiscano l’occupazione, magari in un laboratorio tessile o in una fabbrica di scarpe, ma una volta giunti sul posto, i lavoratori scoprono d’essere in una situazione coercitiva, privi di ogni libertà di movimento e l’unica forma di retribuzione è il cibo e l’acqua. Il lavoratore è dunque vittima di un sistema incentrato sul contratto che viene utilizzato come esca, attivando un vero e proprio meccanismo di sudditanza. Questo fenomeno è riscontrabile particolarmente in Thailandia e in alcuni Paesi arabi.
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Vi sono, naturalmente, anche altre forme di sudditanza, come nel caso dell’Eritrea, dove vige la schiavitù bellica. Centinaia di migliaia di uomini, di donne sono arruolati per decenni nei ranghi dell’esercito che li costringe a realizzare opere pubbliche e a difendere un regime oligarchico, fortemente coercitivo. A ciò si aggiunga il traffico di esseri umani per l’espianto di organi, o la tratta dei migranti che interessa il Mediterraneo e la prostituzione di donne e minori su cui speculano vergognosamente gruppi di potere, approfittando dei tanti conflitti in atto nel mondo e del contesto di crisi economica internazionale.
È dunque chiaro che l’obiettivo del Papa è quello di promuovere una civiltà dell’amore, fondata sulla pari dignità di tutti gli esseri umani, senza discriminazione di sorta. Per questo, occorre l’impegno di tutti, nella consapevolezza che essere cristiani significa essere testimoni di una buona notizia senza confini.
Giulio Albanese
(Fonte: AgenSIR)