Giovani artisti / In punta di matita la “rivoluzione” contro gli stereotipi

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Una giovane artista tunisina e musulmana, Takoua Ben Mohamed, ha lanciato il progetto “Fumetto Intercultura” per combattere pregiudizi e discriminazioni anche di carattere religioso, alimentati purtroppo anche dal terrorismo di matrice islamista. La forza del Grafic journalism. In cantiere anche un libro per raccontare la “Rivoluzione dei Gelsomini” del 2011

foto(1)Lottare contro i pregiudizi e le discriminazioni in punta di matita. È quanto prova a fare da Roma, la città in cui vive dall’età di nove anni, una giovane artista tunisina, Takoua Ben Mohamed, fondatrice del progetto “Fumetto Intercultura”. “È nato tutto una decina di anni fa – racconta Takoua, oggi ventitreenne – quando ero sui banchi di scuola e attraverso i fumetti provavo a condividere con i miei compagni alcuni episodi di pregiudizio o discriminazione di cui ero vittima per il solo fatto di essere una giovane ragazza musulmana. Era il periodo in cui avevo iniziato ad indossare il velo e mi rendevo conto di come questo avesse cambiato la percezione delle persone nei miei confronti”. Takoua inizia così a descrivere, attraverso i suoi disegni, sempre conditi da una buona dose di ironia, alcune scene di vita quotidiana di cui era stata testimone diretta o che avevano vissuto alcuni suoi amici.
Storie di ordinaria discriminazione. Nasce così, attraverso la lente del Graphic journalism, un modo fatto di istantanee che corrono sul sottile crinale che sta tra integrazione ed esclusione: la donna che si vede discriminata sul posto di lavoro perché porta il velo, gli sguardi preoccupati dei vicini sull’autobus, i pregiudizi che nascono dalla non conoscenza di persone percepite come diverse da sé. “In questi anni con i miei lavori – precisa Takoua – non mi sono occupata solo di Islam, ma di ogni forma di pregiudizio nei confronti delle minoranze, di immigrazione e integrazione”. Un progetto che l’ha portata a collaborare con diverse testate e associazioni come la Rete Near Antidiscriminazioni per cui Ben Mohamed realizzata periodicamente delle tavole. L’ultima è una scena ambientata su un bus. “Io come tanti musulmani – spiega la giovane – ho una sveglia sul cellulare che segnala i momenti della preghiera quotidiana. Il suono della sveglia è scandito dalle parole ‘Allah Akbar’ che rappresentano il richiamo alla preghiera. Purtroppo queste sono anche le parole pronunciate dai terroristi che hanno attaccato la redazione di Charlie Hebdo e questo ha finito per associarle, nell’immaginario collettivo, al terrorismo. Per questo quando la sveglia suona e ti trovi in mezzo alla gente vieni subito guardata come fossi pronta a farti esplodere!”.
Oltre i “terrorismi”. Takoua racconta le difficoltà e i pregiudizi nell’essere una giovane musulmana di fronte a quelli che sono gli attacchi del terrorismo internazionale e di un più velato “terrorismo mediatico”. “Purtroppo – racconta – è innegabile che quanto fatto da alcuni gruppi, al-Qaeda prima e ora l’Isis, finisca per avere delle ricadute sull’intera comunità dei musulmani che non hanno nulla a che fare con queste formazioni. Negli ultimi anni abbiamo assistito, anche in Italia, ad una crescita della diffidenza nei confronti dell’Islam perché, anche a causa di una certa comunicazione mediatica, parole come Islam e terrorismo sono state erroneamente associate”.
Raccontare la rivoluzione con i fumetti. Ma perché cercare di combattere questo con il fumetto? “Perché il fumetto – racconta Ben Mohamed – ha una vita più lunga rispetto ad un articolo di giornale. È più immediato e di facile fruizione da parte di tutti e, soprattutto, riesce a raggiungere il lettore con una maggiore empatia perché porta ad immedesimarsi nel protagonista. Questo lo rende un mezzo di comunicazione straordinario”. Tra i progetti in cantiere la pubblicazione di un libro sulla rivoluzione tunisina. “Sono arrivata in Italia quando ero piccola – conclude Takoua – perché la mia famiglia faceva parte dell’opposizione al regime di Ben Alì e, mio padre, è stato costretto all’esilio. Ricordo ancora il mio ritorno in Tunisia nel 2011, pochi mesi dopo la Rivoluzione dei Gelsomini. Lì è nata l’idea di provare a raccontare i cambiamenti che coinvolgevano il mio Paese utilizzando il Graphic Journalism, uno strumento non ancora molto diffuso in Italia, ma che credo possa avere grandi potenzialità”.
Michele Luppi