Giubileo / Papa Francesco ai sacerdoti: “Il prete si lascia trafiggere dall’amore del Signore e per la gente, non cerca consensi”

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Si è concluso ieri il Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi (1 – 3 giugno). Nella Messa in piazza san Pietro, il Pontefice ricorda che il prete “secondo Gesù” è un buon samaritano per chi è nel bisogno, un pastore che rischia e si dona senza sosta al suo gregge, tiene le porte aperte ed  esce a cercare chi non vuole più entrare perché nessuno deve perdersi. Ieri la “maratona spirituale” nelle tre basiliche.

Sa includere, si sporca le mani perché “non conosce i guanti”, non ha un “cuore ballerino” ma trafitto giubileo sacerdotidall’amore per il Signore e per la gente e saldo in Dio. Non è un “ispettore del gregge” o un “ragioniere dello spirito”, ma un buon pastore sempre in cerca delle sue pecore per le quali, talvolta, sa anche “lottare con il Signore”. A tracciare l’identikit del “sacerdote secondo Gesù” è Papa Francesco, nell’omelia della Messa celebrata questa mattina sul sagrato della Basilica Vaticana a conclusione del Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi.

Dove va il cuore? Nell’odierna solennità del Sacro Cuore di Gesù, il Papa ricorda che il cuore del Buon pastore “è la misericordia stessa”, “non si stanca e non si arrende mai”. Un cuore “proteso verso di noi, ‘polarizzato’ specialmente verso chi è più distante; lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere”. Davanti al Cuore di Gesù “nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale: dove è orientato il mio cuore? Domanda che noi sacerdoti dobbiamo farci tante volte: ogni giorno, ogni settimana”.

I due “tesori”. Due, secondo il Papa, “i tesori insostituibili” del Cuore di Gesù: “Il Padre e noi”. Anche “il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente”. Il cuore del sacerdote, scandisce Francesco, “è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a sé stesso, non dovrebbe guardare a se stesso, ma è rivolto a Dio e ai fratelli.

Non è più ‘un cuore ballerino’, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli”.

Cercare, includere, gioire. Queste, per Francesco, le tre parole-chiave. Il buon pastore, spiega, va in cerca della pecora perduta “senza farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro e non si fa pagare gli straordinari”.

“Talvolta – aggiunge a braccio – deve uscire a cercarla, parlare, persuaderla, altre volte deve rimanere davanti al tabernacolo lottando con il Signore per quella pecora”.

Il suo cuore “non privatizza i tempi e gli spazi – guai ai pastori che privatizzano – non è geloso della sua legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato”. Il pastore secondo il cuore di Dio “non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome, ma sarà calunniato, come Gesù”. E ancora: “Ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio:

non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge”, trova perché rischia,

“se il pastore non rischia non è un buon pastore”, e vuole che “nessuno si smarrisca”. Per questo “non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. Come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé”, è “un de-centrato da se stesso, centrato solo in Gesù”.

Non conosce i guanti. Per Francesco, il sacerdote di Cristo “è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani”.

“Il buon pastore – aggiunge a braccio – non conosce i guanti”.

Ministro della comunione “che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a ricomporre le liti”. “E’ un uomo – chiosa fuori testo – che sa includere”.

I “sì” nascosti. E se Dio è “pieno di gioia”, lo è anche il buon pastore, “trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona, che gratuitamente dona”, ripete due volte Francesco. Nella preghiera “scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea”.

Dal Papa un ringraziamento personale ai presbiteri presenti: “per il vostro ‘sì’ e per i tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni che solo il Signore conosce a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia”.

Un trittico di misericordia. La Messa odierna ha concluso il Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi (1-3 giugno) al quale hanno partecipato oltre 6mila preti e seminaristi da tutto il mondo e che ha avuto come filo conduttore la misericordia. “Inaudito straripamento d’amore” e sempre “esagerata, eccessiva”, la ha definita il Papa declinandola con vigorosa intensità e accenti diversi nell’inedita “maratona spirituale” proposta ieri in tre tappe al ritiro spirituale dei sacerdoti nelle basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura.

Giovanna Traversa Pasqualin

 

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