Un gesto d’amore, verso la Chiesa e verso l’umanità. Cinquant’anni dopo, le emozioni e la straordinarietà dell’evento, i sussulti e le tensioni che esso aveva provocato all’interno della Chiesa appaiono sfumate, e con il senno del poi si preferisce pesare sulla bilancia il bene ( e i problemi) che il Concilio Vaticano II ha comportato per la Chiesa Cattolica. Ma per Giovanni XXIII , che l’aveva voluto, fu uno slancio d’amore, e come tutti i grandi gesti di carità gli richiese grande coraggio e certezza interiore.
In quella piazza, quel giorno non erano presenti soltanto 2.500 cardinali e vescovi di ogni continente, un evento assolutamente inedito per la basilica di San Pietro. In quella manifestazione di Chiesa universale si appuntavano gli occhi e le speranze del mondo.
Perché, profeticamente, il Papa era convinto della sua necessità, per la Chiesa e per l’umanità. Si vivevano giorni drammatici. Il mondo, con il duro confronto tra Kennedy e Krusciov sui missili a Cuba aveva rischiato la distruzione atomica. E la Chiesa, e il suo Vangelo, avevano assistito impotenti.
La verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà tra gli uomini erano viandanti sperduti nel deserto, dove ininfluente echeggiava la voce di Cristo. E “profeti di sventura”, arroccati nel proprio recinto di certezze, si frapponevano all’apertura di un dialogo tra la Chiesa e l’umanità intera. Come se lo Spirito Santo non agisse nel cuore degli uomini, anche di quelli “lontani”, e nella storia.
“Chiudiamo una giornata di pace”, disse il Pontefice la sera di quel grande evento, accomiatandosi dalle migliaia di fedeli che con le loro fiaccole vegliavano in Piazza San Pietro, e a cui Giovanni XXIII raccomandò di dare una carezza ai propri bambini, “la carezza del Papa”. A loro, in fondo, uomini e donne di domani, protagonisti di un mondo migliore, era dedicato il Concilio appena iniziato. Una giornata di pace, il suo assillo, ma anche la sostanza di quell’amore di Cristo verso l’umanità, incarnato dalla Chiesa. E molti, quella notte di luna, si asciugarono gli occhi.
Ripensare la Chiesa alla luce dei tempi nuovi e aprirla al mondo, ma soprattutto mettere al centro del suo annuncio gli uomini, anche quelli di buona volontà, anche quelli nemici o persecutori. Non per stabilire, in quel mondo di ideologie contrapposte e pervicacemente ostili, una pace qualsiasi.
“Pacem in terris”, aveva chiesto il Papa nella sua enciclica, poco prima che prevalesse la malattia, con l’ottimismo della fede di chi si apre al soffio dello Spirito e ritiene che la pace, costruita sull’amore, non è solo l’assenza di guerra, ma una stagione di dialogo, perseguito con costanza nel segno della solidarietà e della giustizia tra i popoli. Cinquant’anni dopo il grande cuore di Giovanni XIII ci interpella ancora.
Silvano Spaccatrosi