(26-7-2013) Arriva il Papa, ed è una febbre che sale. In una pausa di catechesi, ho sentito una donna brasiliana dire – più o meno – questa cosa: arriva il Papa, dirà tre parole e tutti saremo contenti.
Pensavo, anche guardando ai ragazzi durante l’intervento del vescovo, a una serie di cose che gli ultimi mesi hanno fatto emergere.
Anzitutto il fatto che la Chiesa, nella persona del Papa, ha ripreso fortemente il suo ruolo di guida e maestra. La predica di esordio di Papa Francesco sulla cura e sulla tenerezza, si sta trasformando in atteggiamenti che sono sotto gli occhi di tutti. Pensavamo, fino a non molto tempo fa, di vivere in una situazione di grande rifiuto del Vangelo e della fede. Abbiamo scoperto quanto la forza dei cristiani può essere ancora grande nell’animare il mondo.
Lo pensavo nei confronti di questi giovani. Non mancano le scene di grande e spontaneo entusiasmo. Ma non manca nemmeno il religioso silenzio: alla festa degli italiani, le parole del Papa sono state seguite con la stessa attenzione con cui ascoltavano Renga o gli Zero Assoluto. Questo mi fa credere alla possibilità, ancora oggi, di toccare il cuore dei giovani, di tornare a sentire l’urgenza di prenderli per mano e di accompagnarli. Già Benedetto XVI – con uno stile sicuramente diverso – sapeva condurli in percorsi di riflessione intensa. Papa Francesco sa farsi ascoltare come un gesuita che predica gli esercizi spirituali: breve ma intenso, efficace e senza giri di parole.
Ai giovani questa è una schiettezza che piace. Se poi non è costruita ed è accompagnata dalla scelta di uno stile sobrio, diventa nel loro cuore esplosiva. I giovani, si sa, non amano le mezze misure. Prendersi cura di loro è un rischio con cui gli educatori devono avere a che fare. Altro che emergenza: stiamo capendo, da adulti ed educatori, che non potremo chiedere ai giovani nessun passo, se non decideremo di comprometterci fino in fondo.
Michele Falabretti
(Fonte: SIR)