L’altro giorno sono andato – di buon mattino – all’aeroporto a prendere un gruppo di italiani che arrivavano. Era l’alba e in controluce si vedevano i cantieri navali con le strutture in ferro per i lavori, i trasporti e gli scambi della dogana. Era una cartolina da fine Ottocento, quando le migrazioni hanno portato in Brasile tantissimi italiani che sono arrivati qui per lottare contro la miseria a cui sembravano condannati nel nostro Paese. Quanti sogni hanno attraversato l’oceano con loro? Quanta nostalgia ha riempito le lunghe giornate di viaggio sul mare? Quanta speranza li ha sorretti nel guardare la terra avvicinarsi dal mare? Oggi sogni, nostalgia e speranza si incrociano nelle storie degli emigranti italiani con quelle dei giovani pellegrini che arrivano dall’Italia. Viene in mente il racconto di Baricco – Novecento – diventato poi un film. Ottantotto tasti, bianchi e neri; loro non sono infiniti. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare.
Forse questi ragazzi sono venuti quasi alla fine del mondo, per capire che in ogni storia di uomo, anche quella che ci appare più disperata e lontana, c’è la musica dell’amore di Dio che suona attraverso i nostri gesti e le nostre parole. E che in tutto questo c’è un respiro di infinito capace di aprire orizzonti nuovi alla vita, di renderla capace di esprimere quell’umanità che Dio ha scritto dentro di noi. E di ritrovarla in chi ci sta accanto. Fratelli d’Italia: al Maracanazinho si canta a squarciagola. Per le strade di Rio ci si abbraccia con quei brasiliani che di italiano avevano i genitori o i nonni e oggi ne hanno conservato la lingua. Ma la musica della fraternità, sapremo suonarla una buona volta anche quando torneremo a casa? Chissà, magari anche a questo serve la Gmg: a farci ritrovare i fratelli.
Michele Falabretti