Il silenzio di Papa Francesco ad Auschwitz ha trovato una specie di eco nel silenzio che ha caratterizzato la Via Crucis dei giovani. Questi ragazzi hanno visto, durante la Gmg, l’orrore e il male del Novecento. Quello che pensavamo finito e che, puntuale, si ripresenta quando pensiamo di esserne vaccinati. Come non ricordare che tanti momenti di dolore assurdo sono stati di nuovo provocati dall’uomo?
Quando il Papa convoca i giovani, lo fa chiamandoli attorno alla Croce di Gesù. Così questo venerdì ha un carattere del tutto particolare, perché se la veglia e la Messa finale hanno una visibilità molto alta, la Via Crucis rappresenta in un certo senso il cuore dell’esperienza. Così il silenzio di Papa Francesco ad Auschwitz ha trovato una specie di eco nel silenzio che ha caratterizzato la Via Crucis dei giovani.
Questi ragazzi hanno visto, durante la Gmg, l’orrore e il male del Novecento. Quello che pensavamo finito e che, puntuale, si ripresenta quando pensiamo di esserne vaccinati. Come non ricordare che tanti momenti di dolore assurdo sono stati di nuovo provocati dall’uomo?
Ho sentito qualcuno dire che non ha senso piangere ad Auschwitz se poi non ci si commuove per il dolore e il male che oggi affliggono il mondo: il mar Mediterraneo e le frontiere d’Europa, i morti degli attentati e le guerre in Medio Oriente; le mattanze in Africa e le sofferenze nella striscia di Gaza, tanto per citare alcune situazioni.
Vescovi e preti mi hanno detto che hanno sentito i giovani e le loro domande: durante le catechesi sono uscite le molte riflessioni che hanno accompagnato i passi di ogni giorno.
Ci si stupisce troppo di loro:
forse non li crediamo davvero capaci di mettersi in gioco, di far funzionare cuore e mente. Eppure il loro interrogarsi e interrogare ha aperto grandi spazi di riflessione e di consegna: dire loro qualcosa è stato più facile o meglio più efficace, perché le pieghe delle loro domande si sono trasformate in autostrade di consegna del vangelo come risposta per una vita buona.
Nel cortile di Casa Italia i giovani continuano a sostare: tutti salutano, chiacchierano e si scambiano riflessioni e pensieri. Chi sta più a distanza dalla vita ecclesiale, rimane comunque affascinato dalla capacità di coinvolgimento di questi ragazzi. Il loro canto e il loro sorridere, salutarsi e abbracciarsi, chiacchierare e scambiarsi foto in modo così naturale e spontaneo, stanno facendo riscoprire a molti la gioia di incontrarsi. E di vedere – una volta di più – che nel dono di sé rappresentato nella maniera più alta da Gesù sulla croce, c’è quell’umanità a cui tutti aspiriamo e che tutti stiamo cercando.
Michele Falabretti