“Grazie Benedetto”, l’ultimo Angelus del Papa

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Come ci si congeda da un Papa? Da un Papa che, con la sua rinuncia, ha cambiato e cambierà per sempre la storia della Chiesa. È questo il pensiero dominante oggi. A chiederselo sono le migliaia di fedeli che si sono messi in cammino, verso la stessa piazza, per un commiato finora inedito: un commiato “annunciato”, o meglio preparato, reso possibile da parole chiare, cristalline – prima davanti ai cardinali, poi ai fedeli, prima in latino, poi in italiano – che con lucida e serena consapevolezza si sono bagnate nell’umiltà e purificate grazie alla capacità di porsi al cospetto di Dio per trovare la forza di una decisione clamorosa, ma meditata nell’interiorità più profonda della propria coscienza, interrogata costantemente dalla preghiera. Per il bene della Chiesa.

angelus_24-2-13La rinuncia al soglio di Pietro è qualcosa d’inedito per questo secolo, nessuno può essere pronto a un evento del genere. Eppure, girando per la piazza, quello che si percepisce sui volti che la popolano – famiglie con bambini e passeggini al seguito, anziani, ma soprattutto giovani, tanti giovani – è il sentimento di grande rispetto e condivisione per la decisione di Benedetto XVI. Di amore filiale per il proprio Papa. Anche se non è facile congedarsi da lui. È il “grazie” il tono della piazza, scritto in tutte le lingue sugli striscioni multicolori. E poi c’è il grazie semplice di due ragazzi, meno di quarant’anni in due: sono partiti da Cuneo, ci racconta Giuseppe, 20 anni. “Grazie da Cuneo”, recita, infatti, il loro piccolo cartello artigianale, scritta rossa in campo bianco. “Siamo arrivati ieri, ci è sembrato naturale essere qui. Non poteva nessuno, siamo partiti noi”. È tranquillo, sereno, dal suo modo di parlare garbato e timido traspare la gioia. Sa che il Papa continuerà a pregare per noi, a stare con noi in un altro modo.

La forza di un gesto straordinario, senza precedenti nella storia moderna del Papato – preso proprio “commisurando” le proprie forze – e la normalità di una “agenda”, quella quotidiana, che non cambia. Anche qui – tra questi due binari – sta la grandezza di un Pontefice che ha scelto il culmine dell’anno liturgico – il tempo di Pasqua – per comunicare ai fedeli il suo modo nuovo di essere con loro. Sarò con voi, anche se “nascosto al mondo”. Perché la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come ha spiegato lui stesso recitando l’Angelus. Un padre non si dimentica mai dei suoi figli: ma ci sono stagioni in cui le modalità della presenza, dell’accompagnamento, dell’accudimento possono, e a volte persino debbono, cambiare. Non per abbandonare i propri figli al loro destino, ma per chiedere loro un “salto”, una crescita, una maturazione. Che passa – come per il loro padre – anche dalla Croce, ma proprio per poter acquistare, una volta per tutte e mai su questa terra come possesso esclusivo, la pienezza della “gioia” della Resurrezione. “Salire sul monte” non significa abbandonare la Chiesa, dice il Papa, e la folla lo applaude, come poco prima, quando aveva fatto riferimento a questo momento particolare per la sua vita.

Benedetto XVI chiama, il suo popolo risponde. Oltre 100mila persone sono oggi qui, nonostante la minaccia di pioggia incombente e l’arrivo, invece, del sole, a illuminare la piazza un’ora prima dell’appuntamento. La gente, questo popolo, ha capito il suo Papa. Perché la logica dei fedeli non è quella dei media. Basta uno striscione per dimostrarlo, nove parole in tutto. C’è scritto: “Abbiamo capito, continueremo ad amarti, grazie, i tuoi giovani”. Sono una trentina, vengono da Capannoli, in provincia di Pisa, diocesi di San Miniato: per l’occasione hanno riunito il gruppo giovanile. Occhi svegli, quelli di Marco, sprizzano arguzia e intelligenza. Per lui, la scelta del Papa è una scelta “normale”, di un uomo che ha fatto i conti con la sua età, ma anche di “coraggio”, perché non insegue la ricerca del potere a tutti i costi. Applaude anche Marco, come il resto della folla, quando il Papa assicura che continuerà a servire la Chiesa con lo stesso amore e la stessa dedizione di prima, ma in modo più adatto alla sua età e alle sue forze.

Gli sguardi in su. Come sempre, durante un appuntamento familiare come l’Angelus, verso quella finestra. Ma oggi, le migliaia di persone che affollano piazza San Pietro hanno una consapevolezza in più, difficile da metabolizzare. Benedetto XVI, da quella finestra, non si affaccerà più per salutare il suo popolo. Lo vedremo ancora sul sagrato della piazza, tra tre giorni, per l’ultima udienza del mercoledì. Ma da quella finestra, no… Il pontificato di Benedetto XVI è stato una finestra aperta sul mondo. Che ci ha insegnato a tenere lo sguardo fisso su Gesù. Perché la Chiesa è di Gesù, che non le farà mai mancare nulla, come ha detto il Papa spiegando – in italiano, dopo l’annuncio in latino durante il Concistoro – le motivazioni della sua scelta ai fedeli. È questa, nella Chiesa, la vera comunicazione. Occhi negli occhi, lo sguardo rivolto verso l’alto.

Quella finestra, la stessa da cui Giovanni Paolo II aveva pronunciato il suo ultimo Angelus muto, continua a “parlarci”. La folla della piazza di oggi lo sa. Prova un senso di umana tristezza per il commiato dal suo Papa. Ma sa anche immaginarlo “affacciato” a un’altra finestra, “nascosto al mondo”. Quella dell’ex convento sul Colle Vaticano dove ha deciso di andare a vivere, dopo i due mesi a Castel Gandolfo. “Nella preghiera siamo sempre vicini”, le ultime parole a braccio dell’Angelus, riconoscenti per l’affetto e la condivisione di tanti giovani, anziani e famiglie italiane. Vengono meno le forze fisiche, ma aumenta il vigore che viene dal silenzio e dalla preghiera. Anche, e soprattutto questo, è “cambiare pagina” nella storia della Chiesa.

M.Michela Nicolais

 

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