Il mondo dei Paesi Arabi è in preoccupante fermento. Le recenti sanguinose vicende di Gaza hanno riacceso i riflettori sul conflitto israelo-palestinese, iniziato da almeno un secolo. Abbiamo visto assaltate le ambasciate israeliane e statunitensi sotto il grido dei manifestanti: “Fuori i sionisti”. Lo sappiamo da un pezzo, che viviamo nell’era della post verità. Prima la pandemia, poi la Guerra in Ucraina, ancora in corso, adesso un nuovo conflitto, quello israelo-palestinese, che in realtà dura da anni. “No one knows what’s true anymore”, ha scritto lo scienziato politico Ian Bremmer su X, commentando la baraonda di notizie false seguito al bombardamento dell’ospedale Al-Ahli Arab di Gaza.
Conflitto israelo-palestinese: la questione palestinese dal sionismo ai giorni nostri
Il conflitto arabo-israeliano è una disputa territoriale più volte combattuta, anche nel corso di campagne belliche, e sorta ancora prima della dichiarazione di indipendenza che segnò la nascita dello Stato di Israele nel 1948. Alla fine del XIX secolo le discriminazioni contro gli ebrei diedero il via a una nuova presa di coscienza collettiva del popolo ebraico che portò al sionismo, un movimento politico-religioso il cui fine ultimo era permettere agli ebrei sparsi per il mondo di tornare a quella Terra promessa annunciata delle Sacre Scritture. Un costante flusso migratorio di ebrei verso la Palestina esisteva da sempre, ma a partire dal 1882 i flussi migratori si intensificarono. L’evento scatenante furono i pogrom messi in atto dall’Impero Russo e che causarono la fuga di circa 30mila ebrei nel giro di un ventennio.
L’Organizzazione sionista mondiale vide la luce nel 1897. I sionisti puntavano a fondare in Palestina un nuovo Stato, casa di tutti gli ebrei che avessero voluto trasferirvisi. Gradualmente il sionismo guadagnò consenso nelle comunità ebraiche europee e gruppi sempre maggiori emigrarono in Palestina. Sfogliando le pagine di storia fino ai giorni nostri troviamo, Hamas, acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiya (Movimento di resistenza islamica), fondato nel 1987 da Ahmed Yassin, dopo lo scoppio della Prima Intifada (rivolta palestinese contro l’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est). Quest’ultimo un religioso palestinese cresciuto come attivista delle sezioni locali dei Fratelli Musulmani (Organizzazione dell’islam politico nata in Egitto).
Conflitto israelo-palestinese: da Hamas alla Guerra dei sei giorni
Citando gli studi dell’ISPI, sappiamo che ad oggi Hamas è un movimento militante islamico e uno dei due principali partiti politici dei Territori palestinesi. L’altro movimento e Al-Fatah, che detiene la presidenza dell’Organizzazione per la liberazione della palestina (OLP). Hamas governa i palestinesi nella Striscia di Gaza, ma il gruppo è noto per la sua lotta armata contro Israele. Paesi, tra cui Israele, Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito, hanno designato Hamas come organizzazione terroristica. Nel 1988 Hamas pubblica la sua carta, in cui si pone come obiettivo la distruzione di Israele e l’istituzione di uno stato islamico in Palestina.
Successivamente, nel 1993, il movimento comincia a ricorrere agli attentati suicidi, prima che il leader dell’OLP Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin firmassero gli Accordi di Oslo. Il patto stabiliva l’autogoverno per parti della Cisgiordania e Gaza sotto un’entità chiamata Autorità palestinese (AP). Ma Hamas ha condannato gli accordi.
La conquista di Gaza da parte di Hamas è seguita alla sua vittoria alle elezioni parlamentari palestinesi del 2006, ultima volta in cui si sono tenute. Hamas ha accusato il presidente dell’ANP, Mahmud Abbas, di aver cospirato contro di essa. Abu Mazen, altro nome con cui è conosciuto Abbas, ha descritto l’accaduto come un colpo di Stato. Hamas governa dunque la Striscia di Gaza, dopo una breve guerra civile del 2007 con le forze fedeli al movimento Fatah guidate dal presidente Abbas, che è basato in Cisgiordania ed è anche a capo dell’OLP. Pubblicherà più avanti un nuovo documento, più moderato: che accetta l’istituzione di uno Stato palestinese provvisorio lungo il confine della Linea Verde stabilito prima della Guerra dei Sei Giorni (1967), ma che comunque non riconosce Israele.
Conflitto israelo-palestinese: chi sono i coloni israeliani
Le colonie sono insediamenti israeliani, e in molti casi vere e proprie città, costruiti nei territori palestinesi occupati, autorizzati e spesso finanziati dal governo israeliano. Nonostante siano considerate illegali dal diritto internazionale, il numero di colonie è andato via via crescendo nel corso degli anni. Oggi le colonie sono presenti in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est), e nelle alture del Golan, ampiamente considerate a livello internazionale come parte del territorio siriano. Ad oggi ci sono più di cento insediamenti israeliani in Cisgiordania, per un totale di oltre 450mila coloni, a cui si sommano altri 220mila coloni residenti a Gerusalemme Est. Inoltre, più di 20mila cittadini israeliani vivono in insediamenti sulle alture del Golan.
L’importanza di Gerusalemme risiede tutta nella sua storia. Questa città, spesso definita “tre volte santa”, è infatti importantissima per ebrei, cristiani e musulmani dato che vi si trovano alcuni dei luoghi santi per eccellenza di tutte e tre le religioni monoteiste. All’interno della Città Vecchia di Gerusalemme sono infatti ubicati sia il Monte del Tempio e il Muro del Pianto sacri per gli ebrei, sia la moschea al-Aqsa, terzo sito religioso più importante per i musulmani, e la basilica del Santo Sepolcro, luogo di sepoltura di Gesù. Il piano di spartizione ONU del 1947 prevedeva che Gerusalemme venisse posta sotto tutela internazionale. La linea dell’armistizio del 1949 finì per dividere la città in una parte ovest, controllata da Israele, e una parte est, controllata dalla Giordania. Nella Guerra dei sei giorni del 1967 Israele riuscì a conquistare Gerusalemme Est, per poi annettere questa parte della città nel 1980.
Conflitto israelo-palestinese: cos’è la striscia di Gaza e chi la governa
La striscia di Gaza è una regione costiera di 360km2 popolata da più di 2 milioni di persone, di cui oltre 1 milione e 400mila con lo status di rifugiati. Dal 1967 fino al 2005, anche questa zona è stata occupata militarmente da Israele. Nel 2007, due anni dopo il ritiro israeliano, Hamas ha preso il controllo della Striscia. Da allora Israele continua a operare un blocco, ovvero la chiusura quasi totale dei valichi di frontiera e degli accessi via mare e aerei, che dura tutt’ora. Oggi a Gaza oltre l’80% della popolazione vive grazie agli aiuti umanitari. Le continue chiusure dei valichi d’accesso, da parte israeliana, hanno reso ancora più difficile la crescita economica di Gaza. È negli anni dell’intifada che le posizioni delle leadership palestinese e israeliana si avvicinano per la prima volta.
Tra il 1993 e il 1995 gli Accordi di Oslo, sulla base della soluzione a due stati, avrebbero dovuto rappresentare il primo passo verso la costruzione di uno stato palestinese. Si deve a questi accordi la divisione dei Territori palestinesi in tre aree (A, B e C) e la creazione di un’amministrazione autonoma, l’Autorità nazionale palestinese (ANP). che sull’area A e B esercitava un certo grado di sovranità. L’ascesa al governo di Netanyahu nel 1996, finì per bloccare i negoziati sulle questioni lasciate aperte dagli Accordi. Nel 2017, l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e altri Paesi ne hanno seguito l’esempio. Nel 2018 l’ambasciata Usa nel paese è stata trasferita a Gerusalemme da Tel Aviv.
Conflitto israelo-palestinese: l’attacco del 7 Ottobre 2023
La mattina del 7 ottobre un attacco di Hamas è stato lanciato dalla Striscia di Gaza cogliendo di sorpresa Israele. Migliaia di razzi da Gaza sono stati lanciati verso le regioni del centro e del sud di Israele. Allo stesso tempo, miliziani del gruppo palestinese islamico oltrepassavano il confine israeliano dalla Striscia di Gaza per dare inizio a un’operazione di terra e prendere il controllo di alcune località nel sud del paese. L’operazione di Hamas ha causato la morte di almeno 1.400 israeliani e più di 3mila feriti. L’escalation tra Hamas e Israele è stata descritta come la più violenta degli ultimi anni e paragonata alla guerra dello Yom Kippur: iniziata il 6 ottobre 1973 durante i festeggiamenti del Kippur. Fu un’operazione militare congiunta organizzata da Egitto e Siria che colse di sorpresa Israele.
L’operazione portata avanti da Hamas ha avuto inizio a un giorno dal cinquantesimo anniversario della guerra del ‘73. In risposta a tale offensiva, il governo israeliano, si è prontamente riunito mentre il primo ministro Benjamin Netanyahu dichiarava che quella scatenata da Hamas è una guerra che Israele vincerà. Dando così il via all’operazione aerea dal nome “Spade di ferro” sopra i cieli di Gaza. Il ministero della Salute di Gaza ha fatto sapere che a causa dei bombardamenti dell’aviazione di Israele nell’enclave palestinese sono più di 8.000 i morti e più di 20mila i feriti sopratutto bambini. Quasi 90 palestinesi feriti e 450 persone con doppia cittadinanza hanno lasciato Gaza attraverso il Valico di Rafah dopo che le autorità egiziane ne hanno annunciato l’apertura per la prima volta al pubblico, nel 26/mo giorno della guerra tra. lo riporta un giornalista dell’Afp sul posto.
Conflitto israelo-palestinese: come opera Hamas e la questione degli ostaggi come scudi umani
In primo luogo, c’è un fattore geografico. Una guerra combattuta tra Gaza city e altre aree della Striscia si gioca su un misto di aree urbane e villaggi in cui i miliziani di Hamas e del Jihad islamico palestinese hanno plasmato la loro struttura militare. Ismail Haniyeh ricopre attualmente il ruolo di capo politico, dopo aver sostituito il leader di lunga data Khaled Meshaal nel 2017. Dal 2020 opera da Doha, in Qatar, secondo quanto riferito, perché l’Egitto limita i suoi movimenti da e verso Gaza. Secondo il Financial Times, si può identificare una mente dietro l’ultima offensiva, sferrata da Hamas: Mohammed Deif, comandante dell’ala militare del gruppo militante palestinese Hamas. Un tempo fabbricante di bombe e architetto di un programma decennale per scavare una rete di tunnel sotto Gaza. Hamas si serve di scudi umani nei tunnel sotterranei appositamente scavati.
Tra questi ostaggi morta la 22enne con doppia cittadinanza tedesca-israeliana Shani Louk, che si aggiunge ai tanti altri martiri della barbaria. Rapita dai terroristi il 7 ottobre mentre partecipava al “Festival di musica e di pace” nel deserto del Negev. Ad oggi, il 20 ottobre Hamas ha liberato i primi due ostaggi che hanno nomi e volti: Judith Raanan, 59 anni, e Natalie Raanan, 17 anni, madre e figlia americane. Trasferite attraverso il valico di Rafah in Egitto, accolte dalle forze di sicurezza israeliane. Poi portate in una base militare israeliana per essere riunite ai loro parenti. Il 23 ottobre, i terroristi hanno rilasciato altri due ostaggi: Nurit Cooper, 79 anni, e Yocheved Lifshitz, 85 anni, israeliane, catturate dalle loro case nel kibbutz di Nir Oz.
Gli Accordi di Abramo
Dopo il brutale attacco di Hamas a Israele, lo schema degli Accordi di Abramo, che doveva presto culminare nella normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele, entra in crisi. Ecco che allora, più degli Accordi già firmati, è la tenuta delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran, datata marzo 2023, a rischiare con la guerra tra Hamas e Israele. Se il plausibile ruolo dell’Iran nell’organizzazione dell’attacco contro Israele venisse accertato e, se gli Hezbollah libanesi dovessero unirsi alla guerra di Hamas, la distensione tra Arabia Saudita e Iran sarebbe a rischio. Proprio per comprendere in anticipo gli obiettivi che l’Arabia Saudita sta perseguendo in Medio Oriente, occorre osservare la politica estera del Bahrein.
Nel 2020, Manama ha firmato gli Accordi di Abramo con Israele e nel settembre 2023 ha siglato con gli Stati Uniti un’intesa che rafforza la cooperazione bilaterale, con al centro sicurezza e difesa. Il piccolo Bahrein, anch’esso impegnato nella realizzazione della propria Vision 2030, è dunque al centro dei nuovi assetti di sicurezza mediorientali e internazionali. Improbabile dunque che ristabilisca presto le relazioni diplomatiche con Teheran. Al momento, è infatti l’unico membro a non avere un ambasciatore nella Repubblica Islamica. Un dato di fatto è che il conflitto, metterà comunque a dura prova la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Emirati Arabi, Bahrein e Israele, sancita dagli Accordi di Abramo del 2020. Rallentando la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele.
Il soft power esercitato da Joe Biden
Nessuno di noi avrebbe potuto immaginare, quando Joe Biden è stato eletto Presidente, che le più importanti visite di Stato della sua amministrazione le avrebbe fatte a Paesi in guerra: l’Ucraina prima e Israele adesso. Ha fatto la cosa che tutti si aspettavano, ovviamente: ribadire il sostegno politico, economico e militare degli Stati Uniti a Israele, condannare Hamas. E poi ne ha fatta un’altra: un discorso in cui ha invitato Israele a non lasciarsi “consumare dalla rabbia”. A non ripetere gli errori fatti dagli Usa dopo l’11 settembre. “Gli abitanti di Gaza hanno bisogno di cibo, acqua, medicinali e luoghi sicuri in cui rifugiarsi”, ha ricordato Biden a Netanyahu, prima di ripartire. Il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese allarga così la frattura tra il sud e l’occidente evidenziando l’urgenza di disinnescare la spirale di odio e di risentimento che va ormai avanti da quasi settant’anni.
Nel frattempo l’antisemitismo si è ravvivato in ogni parte del mondo. Una nuova ondata di attentati si è abbattuta in Francia e in Belgio. Mosca beneficia pienamente della guerra di Gaza, che distoglie l’attenzione dell’Ucraina e mobilita gli Stati Uniti in Medio oriente. L’Iran è l’altro grande protagonista, perché rafforza la legittimità del regime dei mullah come nemico giurato di Israele, consolida l’impero sciita in medio oriente e lascia il terreno libero per la corsa all’arma atomica. È fondamentale mostrare oggi più che mai che la democrazia resta l’unico assetto politico per cui ogni vita conta e tutte le vite si equivalgono. E il conflitto israelo-palestinese riaccesosi quest’oggi costituisce una prova decisiva che sta riscrivendo la storia e gli equilibri internazionali in un nuovo ordine mondiale.
Giuliana Aglio