Guerra Israele-Palestina / Boicottaggio social contro le multinazionali

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L’appello al boicottaggio di multinazionali quali Starbucks e McDonald’s, accusate di finanziare lo stato di Israele, si sparge a macchia d’olio in questo tempo segnato dalla drammatica guerra tra Israele e Palestina in corso a Gaza e non solo. In realtà la lista delle aziende i cui prodotti sarebbe meglio evitare è molto più estesa. Ciononostante, la maggior parte delle critiche piovono sulle due aziende simbolo del capitalismo americano.

Israele-Palestina / Boicottaggio social contro le multinazionali: perché boicottare McDonald’s

La campagna di boicottaggio contro la catena di fast food americana è partita nell’ottobre del 2023 quando, su Instagram, McDonald’s Israele ha annunciato che avrebbe fornito pasti gratuiti ai militari israeliani. “Intendiamo donare migliaia di pasti ogni giorno ai soldati sul campo e nelle aree di stesura, e questo va oltre lo sconto ai soldati che vengono nei ristoranti”. A seguito di ciò sono nate proteste in paesi a maggioranza musulmana, come Kuwait e Pakistan, che hanno spinto i proprietari locali del franchise a prendere pubblicamente distanza da quanto detto da McDonald’s Israele. Fino a questo momento le proteste si erano limitate a contesti locali.

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Appello al boicottaggio postato dall’account X di BDS Italia

La guerriglia social contro la multinazionale diventa mondiale quando il BDS Movement ,movimento globale propalestinese, viene citato in giudizio da McDonald’s Malesia che lo accusa di diffondere dichiarazioni false e diffamatorie che ne hanno danneggiato l’attività. Il movimento risponde: “Invece di fare pressione sulla società madre […] McDonald’s Malesia sta cercando di zittire le voci che stanno in pacifica solidarietà con la causa palestinese”. A causa della mancata condanna da parte del CEO di McDonald’s Corporation, il movimento BDS ha inserito McDonald’s nella lista ufficiale dei sostenitori di Israele.

Guerra Israele-Palestina / Boicottaggio social contro le multinazionali: perchè boicottare Starbucks

Il 9 ottobre l’account X dell’Unione dei Lavoratori di Starbucks (SWU) ha pubblicato un post che riportava la frase “Solidarietà alla Palestina”. Il post è stato eliminato dopo pochi minuti ma il New York Post ne ha diffuso lo screenshot preso prima della sua eliminazione. Questo è il motivo che porta Starbucks a fare causa alla SWU chiedendo all’unione di smettere di usare il loro nome e logo. Negli atti processuali Starbucks adduce che dopo la pubblicazione pro-Palestina i danni di immagine sono stati enormi. Militanti filo-israeliani hanno, infatti, risposto con minacce telefoniche, reclami e atti vandalici alle sedi della catena.

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Il New York Post pubblica il post incriminato

La SWU replica che il post è stato pubblicato senza il permesso dei leader del movimento e che Starbucks sta usando l’incidente per danneggiare la reputazione dell’unione presso il pubblico. Hanno intenzione di mantenere il nome e il logo e negano il loro supporto a qualsiasi tipo di atto terroristico. Come si può capire da quest’ultima dichiarazione, è evidente che i rapporti fra la società e il sindacato dei lavoratori sono tesi. Il boicottaggio di Starbucks, infatti, si deve a due motivi: le condizioni di lavoro che i dipendenti denunciano da tempo, e la causa che la multinazionale ha intentato contro il sindacato dei suoi lavoratori per aver dimostrato solidarietà al popolo palestinese.

Guerra Israele-Palestina / Boicottaggio social contro le multinazionali: funziona davvero?

Starbucks ha riportato una perdita di 11 miliardi di dollari e McDonald è stato disertato da molti abitanti nei paesi del Medio Oriente ma non è chiaro se il crollo delle vendite sia da collegare all’azione di boicottaggio. È sotto gli occhi di tutti però, che la rete ha giocato un ruolo strategico nel documentare quello che molte testate giornalistiche e telegiornali nazionali non hanno mostrato e nel coordinare l’azione di consumerismo politico di cui ci siamo occupati in questa sede.

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Quest’azione politica non è nuova. Nel 1959, ad esempio, molti consumatori internazionali aderirono al movimento Anti-Apartheid per boicottare le merci prodotte in Sud Africa al fine di esprimere la loro disapprovazione contro la segregazione razziale che vigeva nel Paese.

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L’Anti-Apartheid Movement nasce in Gran Bretagna e diventa il punto di riferimento internazionale della lotta contro il sistema dell’apartheid in Sud Africa

C’è di più. Uno studio recente, condotto dalla Politologa Erica Chenoweth, ha messo in luce come la protesta non violenta è il metodo più efficace a lungo termine.

Esaminando un numero cospicuo di campagne nell’ultimo secolo, la dott.ssa Chenoweth ha dimostrato che le proteste non violente hanno un tasso di riuscita più alto di quelle violente. In particolare, è sufficiente la partecipazione attiva del 3,5% della popolazione di un paese affinché quel governo ne accolga le richieste.

Alla luce di quanto riportato possiamo concludere che sì, il boicottaggio funziona. A patto che sia solo uno degli strumenti (non violenti) di denuncia nell’arsenale del cittadino nell’epoca della democrazia post-rappresentativa.

Tania Sambataro

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