I mulini ad acqua di Aci Catena sono delle costruzioni dovute principalmente alla grande quantità di acqua disponibile sul territorio. Sono collocate ad Aci Catena, nella provincia nord-est di Catania, nei pressi della frazione di Aci San Filippo. ll sentiero dei mulini ad acqua, a 8 km da Catania, comprende casolari rustici, l’antica saia e un percorso che va da piazza Reitana, vallata greco-romana famosa per la lavorazione dei lupini, a Capo Mulini.
Si tratta di un itinerario storico-paesaggistico che tocca l’area archeologica delle terme romane risalenti all’età imperiale del I-III sec. d. C:, dove sgorgano acque sulfuree che alimentavano le terme regionali di Santa Venera di Acireale. Il sentiero è costituito da antiche trazzere medievali, con più punti dal fascino particolare, grazie alla presenza dell’antica saia e di alcuni mulini, non più in funzione.
Aci Catena / I mulini ad acqua, tesoro dimenticato
L’itinerario è accessibile da via Peschiera, uscendo dall’area archeologica. Più precisamente, siamo in quella che fu la vallata greco-romana Reitana, ove si svolgeva la Fiera Franca di S. Venera dal 1422 al 1615, sancita come “Franca” (esente da dazio) con decreto del Re Alfonso I il Magnanimo. Qui si trova un primo gruppo di sorgenti denominate sorgenti Cuba: qui sbocca l’acquedotto Casalotto. Quando all’acquedotto si verificava un sovraccarico di acqua, si apriva un sistema di chiusura che faceva defluire l’acqua all’inizio della saia mastra, un grosso canale in muratura, dove veniva convogliata l’acqua delle sorgenti. L’acqua di Casalotto proveniva da sorgenti a monte e veniva usata per l’irrigazione degli agrumeti della costa ionica e per usi potabili nell’hinterland della provincia di Catania.
Le acque di piano Reitana
Il grande avvallamento di piano Reitana è ritenuto l’alveo di uno dei rami del Fiume Aci. La presenza di argille nel terreno permette l’affioramento delle acque. La zona Reitana, risparmiata dalle eruzioni etnee, ha conservato un complesso basale formato da argille pleistoceniche. Questo ha consentito la possibilità di ritrovamenti archeologici, di cui la zona era ricchissima. Costeggiando la saia mastra detta anche fiumara, si giunge ai ruderi del primo mulino denominato Spezzacoddu, per via di un uomo violento che faceva il guardiano. Il mulino è ubicato sulla sinistra, prima di prendere la salita della strada per Vampolieri. I mulini erano costituiti da una botte cilindrica dove cadeva a pressione l’acqua della saia che metteva in funzione il meccanismo della macina. I ruderi del secondo mulino, una volta abitato dalla signora Npacchiapa, un tempo ospitavano una scuola di campagna, e vi era anche una stalla dei muli.
Piano Pescheria
Al piano pescheria sono ubicati il secondo gruppo di sorgenti, alcune attive ed altre spente. Per esempio Funtanedda è una sorgente spenta, Pescheria invece è una sorgente attiva. Nel pianoro Pescheria inizia un torrentello che costeggia la saia mastra. Il terzo mulino da Zia Nedda, è l’unico ristrutturato che può ancora dare l’idea del vecchio mulino. Proprio questo punto costituisce un’oasi naturale, dove si possono ammirare le cascate dell’acqua, che fino a una trentina di anni fa, muovevano la ruota del mulino. All’interno di questo mulino ci sono tre cascate d’acqua che ingrossano la saia, che attraverso al di sotto dello stesso mulino per raggiungere gli altri mulini. Li vicino si trova il fondaco, luogo di riposo durante la notte per i carrettieri che venivano in questi mulini per la macina del grano.
Vicino al fondaco c’è un lavatoio. Nelle acque di questo tratto di fiumara si possono incontrare granchi di acqua dolce, anguille e rane. Attraversando la ferrovia si arriva al quarto mulino: “U mulino a via”, dalla costruzione rossa. Si giunge quindi alla contrada baracche dove è presente il quinto mulino Don Pippino, funzionante fino agli anni sessanta e così via il sesto, settimo e l’ottavo mulino. Attraversando la statale vi è il nono mulino, mentre in zona chiamata A cchianata di Vigo si incontra l’ultima sorgente, la mutaddisa. Scendendo per la strada asfaltata si giunge a Capomulini, che prese appunto il nome della presenza dei mulini. Qui si trova l’ultimo mulino, oggi abitazione. Sugli scogli a mare, nello stesso sito, sboccano la saia mastra, il torrentello e il torrente Lavinaio.
Le terme romane di Santa Venera al Pozzo
Il sentiero dei mulini è un itinerario storico-paesaggistico, in quanto si trova accanto all’area archeologica delle terme romane, dove sgorgavano acque sulfuree che alimentavano le terme di Santa Venera di Acireale. I resti termali provano che le qualità terapeutiche della sorgente naturale godevano di un discreto credito tanto da determinare l’impianto stesso.
Il riscaldamento si effettuava con la circolazione di aria calda sotto il pavimento, mentre i densi vapori sulfurei fuoriuscivano dai buchi realizzati con tubuli fittili incassati nella copertura. Recenti scavi nell’area hanno portato alla luce un’ampia vasca quadrangolare pavimentata che probabilmente doveva costruire il frigidarium all’aperto. Si suppone dunque che le terme fossero un piccolo stabilimento di uso pubblico atto in primo luogo alla cura di malattie a carattere reumatico e forse di quelle esantematiche.
L’ambiente dei mulini
La componente fisica dell’ambiente costituì un’attrazione importante per i primi processi di antropizzazione. L’area possedeva infatti tutte quelle condizioni naturali che consentivano una facile sopravvivenza per uomini non dotati di tecnologia e permettevano benessere e veloce progresso. Queste condizioni erano rappresentate da disponibilità idriche in abbondanza in qualsiasi stagione. Innanzitutto un suolo naturalmente fertile di origini alluvionale, predisposto a trasformarsi in suolo agrario. Quindi la disponibilità di terreni argillosi ed un Microclima favorevole, oltre ad un comodo approdo costiero. Un luogo baciato dalla natura, ricco del tesoro più grande e dimenticato: l’acqua.
Sofia Terranova