I nuovi Cardinali / Sempre pronti ad amare “senza confini”

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Papa Francesco ha scelto l’inno alla carità della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi come “Magna Charta” per i nuovi porporati. Cordiale stretta di mani con Benedetto XVI. Ai cardinali ha ricordato che “chi vive nella carità è de-centrato da sé”. E ancora: “Quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica”. Dunque, “un cardine, un perno, un punto di appoggio” per la vita della comunità. 

Comincia con un abbraccio, esattamente come un anno fa, il 22 febbraio 2014, il secondo Concistoro di Papacardinali Francesco. Quando i cardinali hanno fatto il loro ingresso nella basilica vaticana – una decina di minuti prima delle undici – hanno trovato una sorpresa: il Papa emerito era già alla fine della navata, ad attenderli. Ha salutato molti di loro, a partire dal cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, con il quale ha parlato sorridendogli e stringendogli le mani. Poi Benedetto è andato a sedersi all’estrema sinistra della prima fila (guardando l’altare), nella parte riservata ai cardinali vescovi. Alle 11 in punto, l’incontro e il saluto tra Papa Benedetto e Papa Francesco, che chiudeva la fila delle porpore. A quel punto il Papa emerito si è alzato per andare a stringere le mani a Francesco sorridendo come tra vecchi amici. Nell’omelia – dieci minuti in tutto senza nessuna aggiunta a braccio – Papa Francesco ha scelto l’inno alla carità della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi come “Magna Charta” per i nuovi porporati a cui subito dopo ha imposto la berretta, consegnato l’anello e assegnato titoli e diaconie: erano presenti 19 nuovi cardinali su 20, perché il cardinale Pimiento, 96 anni, ha chiesto di poter ricevere la berretta in Colombia. Alle nuove porpore Francesco ha spiegato il senso della “magnanimità” come “sinonimo di cattolicità”, capacità di “amare senza confini, ma fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti”. Ha citato sant’Ignazio per evocare la necessità di “amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi” e ha sintetizzato il “programma di vita” dei cardinali nell’essere “incardinati e docili”. Arrabbiarsi sì, ma il rancore mai, “non è accettabile nell’uomo di Chiesa”, che non è mai “auto-centrato”, non cerca “il proprio interesse”, ma ha “un forte senso della giustizia”.

Il cardinalato non è “onorificenza”. “Quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica”. Sono le prime parole del Papa, nell’omelia del Concistoro. “Lo dice già il nome – cardinale – che evoca il cardine”, ha spiegato Francesco, “dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità”. “Nella Chiesa ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità”.

Magnanimità è “amare senza confini”. “Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore”. È l’invito del Papa, che a partire dalle parole di san Paolo ha spiegato: “Magnanimità è sinonimo di cattolicità”: “È saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti”. “Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi”, ha aggiunto citando una massima di sant’Ignazio. “Saper amare con gesti benevoli”, l’altra indicazione ai porporati, perché “benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.

La “tentazione” dell’invidia e dell’orgoglio. Neanche “le dignità ecclesiastiche sono immuni” dalla “tentazione” dell’invidia, della vanità, dell’orgoglio. Quando ha citato il passo di Paolo che dice che la carità “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”, il Papa lo ha definito “un miracolo della carità”, “perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato”.

“Chi è auto-centrato cerca il proprio interesse”. “Chi vive nella carità è de-centrato da sé”. È il ritratto del cardinale offerto ai nuovi porporati dal Papa: “Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge. Cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso”. A volte, questo “interesse” può anche essere “ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il ‘proprio’ interesse”.

Arrabbiarsi sì, rancore mai. “Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!”. Nell’omelia al Concistoro, il Papa ha messo in guardia “dal rischio mortale dell’ira trattenuta, ‘covata’ dentro che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi”. “No, questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa”, il grido: “Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili”. Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere, inoltre, “un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa”.

Incardinati e docili. La carità “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. In queste “quattro parole” dell’inno alla carità, per Papa Francesco, “c’è un programma di vita spirituale e pastorale”. Questo sono i cardinali: “Persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati”.

Michela Nicolais

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