I Salesiani in Sicilia / Due manoscritti inediti del card. Dusmet con gli apprezzamenti su don Bosco e la sua azione educativa

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Il card. Farina ( a sin. ) con mons. Zito

Sono due i manoscritti inediti trovati da monsignor Gaetano Zito – a cui era stato affidato il coordinamento per la pubblicazione di un volume sulla Storia dei salesiani in Sicilia a ricordo dei loro 140 anni dall’istituzione dell’ispettoria – che mettono ulteriormente in evidenza la passione educativa dei “discepoli” di San Giovanni Bosco nell’indirizzo inaugurale del 1890 ed i legami affettuosi e riverenti dei salesiani con la Chiesa nel discorso del 1891. I due scritti sono datati: 18 maggio 1890 e 26 dicembre 1891, di quest’ultimo Mons. Zito aveva trovato anche la minuta.

Il card. Farina ( a sin. ) con mons. Zito

I manoscritti del Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania, si riferiscono all’Istituto “San Francesco di Sales” di via Cibali in Catania. Il primo riguarda l’«Inaugurazione della Casa Salesiana nella terra del fu D. Placido Piccione»”, il secondo è stato proclamato «Per l’inaugurazione del Collegio Salesiano». Al momento, questi documenti ci permettono di aggiungere delle tessere alla storia salesiana e di aggiornare alcune date degli inizi della fondazione. Tracciano, in modo particolare, un ritratto del santo dei giovani, Giovanni Bosco, delineato dal prelato, proclamato dal popolo catanese padre dei poveri.
«Utile, bella è l’impresa che codesti Ecclesiastici si sforzano di tirare a fine», scrive il Beato Dusmet. «D. Bosco, italiano di nobile e robusto carattere, sapiente, pratico, tenuto in pregio eziandio da più discosti stranieri, encomiato da due grandi Pontefici Romani Pio IX e Leone XIII».
Qualità che don Bosco ha messo a servizio per accompagnare i giovani a raggiungere – come dice Papa Francesco – la «misura alta della vita cristiana». E per raggiungere tale finalità si è inculturato nella «periferia sociale ed esistenziale» che germogliava a Torino, all’epoca capitale d’Italia e città industriale. Don Bosco, «il prete dei giovani poveri e abbandonati, seguendo il consiglio lungimirante del suo maestro San Giuseppe Cafasso, scendeva per le strade, entrava nei cantieri, nelle fabbriche e nelle carceri, e lì trovava ragazzi soli, abbandonati, in balia dei padroni del lavoro, privi di ogni scrupolo».

Un manoscritto del card. Dusmet

Il fine educativo di Don Bosco era la formazione integrale del giovane, ossia il recupero della pietà e moralità attraverso la pedagogia dell’amorevolezza che tiene in conto la cultura. Per questo il beato Dusmet scrive: «D. Bosco versò sempre la manna della soavità sul vino dello zelo, affinché il medesimo non tornasse troppo asprigno, piccante e rovente, ma blando, delicato e gentile». In tal modo Don Bosco mostrava ai suoi giovani «praticabile la via della virtù». E rendeva «adagio, adagio docili non poche volontà, dianzi restii siffatto, corresse brutti vizii, guarì antiche piaghe puzzolenti, asciugò tante lagrime, riparò tanti danni, racchetò tante coscienze, ricostituì e indirizzò vari paesi verso quel vero progresso civile che pur bramavano e colpa la smarrita strada non avevan potuto raggiungere mai».
Per l’Arcivescovo di Catania, Don Bosco sapeva «appuntino i tempi e previsti i guasti, onde la scuola senza Dio si sarebbe fatta rea. Perciò con fretta di tenera madre che scorge prossimo il pericolo della prole, ruppe gli indugi, indicò le fonti pure della istruzione e della educazione tolse ad ammaestrare da per sé migliaia di giovani nel sapere suggerito dal Vangelo, li distorsiò dall’andare vagabondi, li riunì sotto uno stesso tetto, li custodì come la pupilla dell’occhio, li allevò nella integrità della fede cattolica e dei costumi, li addestrò in una pietà schietta, franca e giuliva. Così egli il cauto D. Bosco prevenne e preservò molta gente da veleno di massime turbolenti e perverse, di altere e pazze dottrine, dall’influsso maligno dell’odierna serpeggiante miscredenza, riconfortò di speranza buona le rinnovate famiglie, sollecite della onesta riuscita dei figliuoli, e impresse in diverse terre, un mirabile, effettivo, salutare movimento, che non cesserà».
In questa prospettiva resta affermato il valore dei tre pilastri del metodo educativo di don Bosco, racchiusi nel Sistema preventivo. In esso è chiara l’intenzione di San Giovanni Bosco: vedere in una visione inscindibile la cultura, la pietà e alla moralità. È costante in lui, uomo, prete, educatore, la volontà di valorizzare anche l’umano nel cristiano, di promuovere tutto ciò che è positivo nella creazione.
Dalle righe dei due documenti, grazie alla ricerca delle fonti dell’onesto intellettuale ed accurato storico don Zito, emerge così un don Bosco che sapeva motivarsi e motivare. Un educatore aperto ai segni dei tempi. Un formatore con una progettualità di vita delineata con sapienza e buonsenso, valutata dal concreto ambiente in cui il giovane cresceva e maturava. Difatti, il cardinale Dusmet, tra l’altro, nel discorso inaugurale del 26 dicembre 1891, definisce don Bosco: «Miracolo di maestro ed apostolo».

Suor Maria Trigila

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