Il card. Romeo a mons. Raspanti: “Sii Pastore dell’ascolto umile e dolce”

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Pubblichiamo integralmente l’omelia pronunciata dal card. Paolo Romeo durante la consacrazione episcopale di mons. Antonino Raspanti.

Cattedrale di Acireale, 1 ottobre 2011

Is 5,1-7; Sal 79; Ef 4, 1-7.11-13; Gv 21, 15-19

Il card. Paolo Romeo

1. Rendiamo grazie al Signore che stasera, in questa Cattedrale, ci dona di vivere un intrecciarsi di sentimenti di gioia e trepidazione, nell’unità di una sola famiglia che è la Chiesa Acese, qui raccolta in preghiera in tutte le sue varie e vivaci componenti. Chiesa Acese che questa sera viene ancora una volta convocata solennemente da S.E. Mons. Pio Vittorio Vigo, che per otto anni l’ha guidata con zelo apostolico e dedizione totale, e che oggi ringraziamo per la preziosa testimonianza di servizio generoso, e di amore incondizionato. Un servizio, Eccellenza carissima, che Dio saprà certamente ricompensare con l’abbondanza della sua grazia.

2.Per questa comunità diocesana c’è già la gioia intensa per l’ordinazione episcopale di Mons. Antonino Raspanti, che stasera riceve la pienezza del sacerdozio di Cristo. Ma a questa gioia si aggiunge, intrecciandosi in un gioco di moltiplicazione d’intensità, la gioia dell’inizio del suo ministero episcopale al servizio di questa porzione del popolo di Dio pellegrina in Acireale. È un unico solenne momento di duplice consegna: il Pastore si consegna alla sua Chiesa e la Chiesa al suo Pastore. La gioia del Pastore e quella del Gregge si fondono insieme. E il canto del rendimento di grazie, dell’Eucaristia appunto, si fa più gioioso, alla presenza orante di tutta la Chiesa celeste, ed in particolare della martire Santa Venera, patrona di questa Città, nella cui festa è stato dato l’annunzio della nomina episcopale del nuovo Pastore. Oggi, per l’effusione dello Spirito Santo, e nella vivente ed ininterrotta Successione Apostolica, i figli – cioè la Chiesa di Acireale – vedono nascere il loro Padre – ossia il loro Vescovo – cosicché possiamo dire che entrambi, Gregge e Pastore, sono oggi oggetto tutto speciale – seppur a titolo diverso – della medesima azione dello Spirito Santo. Sono cioè avvolti, in modo sponsa-le, nell’unica salvifica e vivificante Nube. Dalla Parola che Dio ci ha rivolto questa sera desidero allora trarre per voi, in modo semplice e familiare, qualche spunto, che possa essere utile ad innalzare sempre meglio il nostro rendimento di grazie alla Santissima Trinità, perché questa Eucaristia divenga sempre più densa di meraviglia orante.

La prima lettura ci ha presentato il “cantico d’amore” del Signore nei confronti della sua vigna. Attraverso un delicato paragone poetico, il profeta Isaia ricorda e rivela che, nel corso della storia, Dio ha prediletto e amato il suo popolo, Israele, curandolo come una vigna preziosa, da cui attendeva frutti proporzionati alle attenzioni avute nei suoi riguardi.
Ad un certo punto la domanda di Dio: “Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa produsse, invece, acini acerbi?” (Is 5,4). I frutti sperati non arrivano, e così la storia d’amore si intreccia con il tradimento e la delusione, al punto che il Signore prepara una punizione, conseguenza dell’amore non corrisposto: quella vigna sarà esposta al pericolo, all’incuria e alla siccità. Sappiamo bene, tuttavia, che nella logica e nel cuore di Dio la punizione non può essere l’ultima parola. La storia della sua amorevole cura nei confron-ti di Israele e della profonda incorrispondenza d’amore da parte del suo popolo, preparano il suo più eloquente e definitivo gesto: il dono del suo Figlio.
La punizione annunciata da Isaia cederà il passo all’offerta di Cristo, l’offerta di una vita piena, della vita in abbondanza: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). È Cristo Gesù il vero, concreto e definitivo cantico d’amore per la Vigna di Dio che è la Chiesa, l’appello vivente a che essa sia feconda di carità e di vita buona! Solo in lui si esaudisce la preghiera del salmista: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna!” (Sal 79,15).

3. Porzione della Vigna del Signore che è tutta la Chiesa, è questa comu-nità diocesana di Acireale. In essa, stasera, continua a farsi visibile e concreta la predilezione da parte di Dio, attraverso il dono del suo nuovo Pastore nella persona di Mons. Antonino Raspanti. Caro don Nino – mi permetterai senz’altro di chiamarti affettuosamente così – da stasera divieni immagine sensibile, ripresentazione di quella cura amorevole di Dio nei confronti del suo popolo, cura amorevole testimoniata dalla Scrittura e compiuta in Cristo. Per l’azione dello Spirito Santo che ti verrà conferito, sarai conformato al Buon Pastore, alla sua donazione generosa e totale. Sarai pienamente sua icona sacramentale.
Come ascolteremo nelle interrogazioni che ti verranno rivolte, vieni scelto e consacrato per essere predicatore instancabile del Vangelo, guida del popolo santo di Dio, padre soprattutto dei più deboli e dei bisognosi, pastore degli smarriti e dei lontani, intercessore e santificatore delle pecorelle del tuo Gregge.
Tutto questo ti pone al servizio di questa Chiesa. Un servizio che rivela l’amorevole cura del Padrone della Vigna. “Episcopato – si legge nel Rituale dell’Ordinazione – è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al Vescovo compete più il servizio che il dominare, secondo il comando del Maestro”.
Quel Maestro che, proprio nel Cenacolo, ai suoi apostoli, consegna il suo stimolante testamento: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve… Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (cf. Lc 22, 26-27).

4. Sai bene, caro don Nino, che questo servizio non è una mera funzione. Sai bene che il servizio, nella Chiesa, non può mai ridursi ad una semplice funzione. Perché Servo è stato lo stesso Cristo Gesù. Ed ecco la pagina del Vangelo che insieme abbiamo pensato di scegliere per la liturgia di stasera: Simone, mi ami tu? Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene.
Stasera il Signore Gesù ti rivolge questa domanda così semplice e così densa: “Nino, mi ami tu?”. Sei chiamato a dare una risposta, ma prima ancora che a dare una risposta sei chiamato ad entrare nel dialogo d’amore con Gesù. Come Simon Pietro, primo degli apostoli, che, dopo aver rinnegato per tre volte il Maestro, viene chiamato a sanare la sua infedeltà e a sanarla all’interno di un dialogo d’amore. Sì! Gesù e Pietro ritornano a parlare d’amore. Le forme sono semplici, ma quanto è denso il contenuto! La domanda di Gesù sa già di proposta – sei disposto ad amarmi di più? – mentre la risposta di Pietro è ormai intrisa di una verità profonda che ha a che fare con tutta la consapevolezza della debolezza e del limite nella corrispondenza umana all’amore di Dio. Come a dire: Signore, posso amarti come posso, e – come sai bene – con tutte le mie debolezze.
Mentre sonda l’amore di Pietro, Gesù gli comanda: “Pasci i miei agnelli… Pascola le mie pecore…”. C’è un legame profondo fra la disponibilità ad amare del principe degli apostoli e la missione alla quale Gesù lo chiama.
E l’invito finale di Gesù: “Seguimi”, è la possibilità, per Pietro, di una sequela più autentica, libera dai facili entusiasmi, purificata dalla crisi del rinnegamento. Seguire Cristo nel pascere il suo Gregge, questo Gregge Acese, è e sarà sempre – caro don Nino – questione di amore, di più amore! Sì! in questo rinnovo continuo della fedeltà sta la tua forza e la tua identità di Vescovo, Padre e Pastore di questa Chiesa che Gesù ha amato fino alla morte, e che per amore sei chiamato a ricevere con i suoi stessi sentimenti. Sai bene che la tua risposta d’amore a Cristo sarà sempre balbettata con la lingua e tentennata nel cuore fragile. Ma sai anche che solo in questo dialogo potrà ogni giorno rinnovarsi quel “pascere” che non è altro che il “pascere” amoroso di Cristo.

5. Caro don Nino! Dall’amore ricreato, nell’amore confermato, sei per questo chiamato a che in questa Vigna amata da Dio, che è la Chiesa di Acireale, si possa vendemmiare sempre amore! E in questo sono certo che ti lascerai interpellare dalla priorità dell’impegno per la comunione, secondo la parola di San Paolo ascoltata nella seconda lettura che pone la condizione essenziale per la crescita della Chiesa: “avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” (cf. Ef 4,3). Il verbo utilizzato indica più che un semplice tentativo di conservare l’unità. Si tratta di un vero e proprio ingegnarsi, industriarsi, darsi da fare… Un servizio all’unità, un servizio alla comunione. “Un solo corpo e un solo spirito… Un solo Signore, una sola fede, un so-lo battesimo… Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (cf. Ef 4, 4-6).
La missione del vescovo è anzitutto in funzione di edificazione della Chiesa. “Infatti il vescovo, essendo pastore e padre, è anche capo e guida spirituale che discerne e valorizza i carismi di un popolo tutto sacerdotale, profetico e regale, e li fa convergere verso il comune impegno di edificare il corpo di Cristo che è la Chiesa” (Conferenza Episcopale Italiana, Documento pa-storale “Evangelizzazione e ministeri”, 15 agosto 1977, n.54). Questa sera ti viene soprattutto affidata la missione di servire l’unità di questa Chiesa nell’articolata e complessa necessità di armonizzarne la diversità di tutte le sue componenti, con la prudenza e la sapienza irrobustite della tua umana esperienza ed ispirate dalla luce dello Spirito.
Una missione sinfonica, dunque, che non può che richiamare la bella immagine di Sant’Ignazio di Antiochia consegnataci nella sua Lettera agli Efesini: cercare la comunione ed armonizzare carismi e ministeri fra loro “come le diverse voci di un coro” (Ad Ephesios, 3,4). “Fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (cf. Ef 4,13) ribadisce San Paolo. L’obiettivo che, attraverso la parola di Paolo, ti viene posto davanti è quello della maturazione di ciascuna delle pecore del Gregge nella santità personale e comunitaria. Tale maturità è una pienezza di santità che nella comunione vive e della comunione si alimenta. “Pienezza” della Chiesa, fecondità della Vigna che – nella comunione – dà frutti nuovi, e che dunque testimonia la novità di vita al mondo: una Chiesa posta come città alta sopra il monte, perché sia, per le aspirazioni del cuore dell’uomo, riferimento autentico di verità e di amore. È l’esperienza di quella “pienezza” ecclesiale di cui parla Agostino, ancora pagano, a proposito della Chiesa di Milano guidata da Ambrogio: “Videbam plenam Ecclesiam, et alius sic ibat, alius autem sic” (Confessionum VIII, 1,2). Cioè: mi imbattevo in una Chiesa “piena” che era pronta ad offrire percorsi diversi a seconda dei diversi doni, percorsi innestati tutti nell’unità grazie alla guida di un comune padre nella fede, il vescovo appunto.

6. Ecco, caro don Nino, qualche spunto per il programma del tuo servizio. Un programma che certo si modificherà nello specifico, rimanendo sempre in ascolto dei bisogni del popolo santo di Dio che è in Acireale. Un ascolto umile e dolce ad un tempo. Con quell’umiltà e quella dolcezza che hai voluto porre a motto del tuo stemma episcopale, riprendendo le parole pronunciate da San Francesco di Sales alcuni giorni prima di morire. Umiltà e dolcezza che furono della Vergine Maria, e che, nella splendida raffigurazione dell’Annunciazione, in questa Cattedrale, visivamente troneggiano, per ricordare i binari sicuri di un cammino di comunione e di santità, su cui Pastore e Gregge sono chiamati a crescere insieme, nell’unica azione di grazia.

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