Le nuove generazioni di “nativi digitali” non sapranno più scrivere a mano, in corsivo? Le loro dita, anziché stringere una penna, strisceranno solo sugli schermi del tablet o al massimo picchietteranno su tastiere? E quali sarebbero i rischi della perdita di questa competenza, per le nostre società? Sembra un’assurdità futuristica eppure il rischio di una trasformazione epocale, che sta passando strisciante sotto gli occhi di tutti, è già in agguato. Con danni incommensurabili sotto diversi punti di vista. È di un paio di mesi fa la notizia, rilanciata in questi giorni, che la Finlandia avrebbe intenzione di abolire l’uso della scrittura manuale nelle scuole a partire dal 2016, rimpiazzandola con tablet e pc, per stare al passo con i tempi. E proprio oggi 23 gennaio, negli Stati Uniti, si celebra il “National handwriting day”, la Giornata nazionale per il recupero della scrittura manuale.
Negli Usa non sanno più scrivere in corsivo. Perché sì, non tutti lo sanno, ma nel Paese che aspira ad essere il faro delle avanguardie nel mondo, milioni di bambini non sanno più scrivere in corsivo. “Motivata da istanze egualitarie in una società multirazziale, nella maggior parte delle scuole statunitensi non si insegna più a scrivere con le lettere collegate una all’altra, personalizzando la grafia, ma solo in stampatello”, spiega il grafologo Claudio Garibaldi. Alcuni Stati americani, come la California, stanno facendo resistenza; altri dietrofront. Il fatto è che dall’inizio della rivoluzione digitale ad oggi, molti studi e ricerche stanno dimostrando gli effetti nefasti di un uso eccessivo della tecnologia per il cervello umano, soprattutto quello dei “nativi digitali” nati dopo il 2000, che non sanno come si viveva prima e stanno rischiando situazioni di declino mentale. Tant’è che tra le giovani generazioni yankees la scrittura a mano sta tornando di moda, come un vezzo vintage.
“È la battaglia delle battaglie”. “Non si tratta di fare una battaglia di retroguardia contro il digitale ma è la ‘battaglia delle battaglie’ contro lo spappolamento della capacità critica dei futuri cittadini – afferma Daniela Menni, consulente grafologa, collaboratrice dell’Istituto grafologico Moretti di Urbino, fondato dal frate francescano Girolamo Moretti, morto nel ’63 -. Bisogna fare una rivoluzione culturale altrimenti rischiamo di perdere una capacità antropologica: scrivere a mano accende molte più aree del cervello, aiuta a sviluppare il pensiero associativo e a costruire una memoria interna, favorisce la capacità di introspezione e concentrazione, aiuta ad adattarsi a circostanze diverse. È un gesto unico e assolutamente personale, utile per la costruzione della propria identità”. Negli Usa la “National handwriting association” ha dovuto addirittura stilare un decalogo in 15 punti per ricordare ai giovani americani i vantaggi della scrittura in corsivo.
Ma c’è di peggio. Un famoso neuropsichiatra tedesco, Manfred Spitzer, ha identificato in un libro una vera e propria patologia derivata da troppo uso delle nuove tecnologie: la “demenza digitale”: può avere effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali, alla perdita del senso di orientamento, all’atrofizzazione della memoria numerica. “È come consegnare la vita e la memoria ad un supporto esterno”, commenta Menni. Secondo Spitzer “i media digitali creano dipendenza, danneggiano la memoria, diminuiscono l’impegno mentale e, per questo, sono del tutto inadatti a favorire l’apprendimento scolastico”. L’utilizzo dei media digitali negli asili e nelle scuole elementari, proprio perché il cervello dei bambini è malleabile, sarebbe come “esporli ad una pericolosa sostanza stupefacente”. “Oggi c’è una eccessiva velocizzazione dei tempi di apprendimento – osserva Menni -. Si richiedono al bambino prestazioni veloci che, secondo la sua normale crescita psicomotoria, non può fare prima dei 9 anni. Per imparare a scrivere c’è bisogno di fasi, è come imparare a camminare. Se non si rispettano queste fasi arrivano le mancanze. Non a caso stanno aumentando moltissimo anche tra noi le ‘disgrafie’, ossia lo scrivere male, che ha conseguenze anche sull’autostima dei bambini”.
Cosa c’è dietro? “Ci sono gli interessi economici delle industrie informatiche e della telefonia, che spingono per vendere i loro prodotti – sottolinea Menni -. So per certo che è in atto una azione di lobby presso i parlamentari europei per spingerli a cambiare le legislazioni scolastiche”. In Italia “non siamo ancora in grosso pericolo perché siamo arretrati tecnologicamente ma nel nuovo progetto del Miur non c’è una parola sul valore della scrittura a mano, mentre si parla spesso del digitale”. E anche se il dibattito è ancora di nicchia (al contrario molti genitori vanno fieri delle capacità dei più piccoli di usare un tablet), l’Istituto Moretti – diretto oggi da padre Fermino Giacometti – sta già progettando una campagna a difesa della scrittura manuale. I grafologi rassicurano invece i genitori che chiedono ai figli un uso moderato delle nuove tecnologie: “Non abbiano timore di risultare diversi e impopolari. Ne raccoglieranno i frutti più avanti”.
Patrizia Caiffa