Il Papa a Milano / Ospitare le differenze, abbracciare le frontiere, accogliere chi ha bisogno

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Il cuore: la visita a San Vittore. Il carburante: l’incontro con le famiglie delle Case Bianche. Sono stati i momenti vissuti in forma privata, al riparo dalle telecamere, ad avere la preponderanza – anche in termini di durata – nella visita pastorale di Papa Francesco a Milano, culminata con la Messa nel Parco di Monza, alla quale hanno partecipato un milione di persone, in attesa fin dalle prime ore del mattino. “Solidarietà, ospitalità, misericordia verso tutti”, le virtù che le nostre città sono chiamate ad adottare, pena il lasciarsi travolgere dal ritmo vertiginoso di una vita e di una società che specula su tutto e su tutti e rischia di non avere più tempo per niente e per nessuno.
“Milanesi sì, ambrosiani, certo, ma parte del popolo di Dio!”, l’identikit di Francesco.
Ospitare le differenze, abbracciare i confini e le frontiere, dare accoglienza a chi ne ha bisogno, la triplice consegna del Papa alla città di Milano.
“Siete voi che mi accogliete, e questo è un grande dono per me: entrare nella città incontrando dei volti, delle famiglie, una comunità”. Sono le prime parole pronunciate in terra milanese, dove arriva per la prima volta. Comincia dalle Case Bianche, Francesco, dove entra fisicamente per far visita a tre delle 477 famiglie che vivono in questo lembo della storica periferia milanese. Poi il primo bagno di folla, “entro in Milano da sacerdote” dice indossando la stola che gli è stata regalata, insieme a un quadro della Madonnina restaurata: anche “la Chiesa ha sempre bisogno di essere ‘restaurata’”.

Le sfide si devono prendere come il bue, per le corna. Parla a braccio, Francesco, nella seconda tappa della visita: l’incontro con i sacerdoti e i consacrati, nel Duomo il cui piazzale è già gremito al suo arrivo. Non dobbiamo temere le sfide, ma una fede senza sfide, afferma il Papa mettendo in guardia da una fede ideologica o annacquata. La Chiesa è maestra nella cultura della diversità: è una ma è multiforme, grazie a quel grande artista che è lo Spirito Santo, che c’insegna a non cadere negli eccessi di uniformità o di relativismo, a non confondere unità con uniformità o pluralità con pluralismo.

Formare al discernimento, l’imperativo categorico in una società in cui i giovani sono esposti ad uno zapping continuo: ci piaccia o no, il mondo è così, non va santificato ma neanche demonizzato. Due gli inviti per categoria: ai diaconi, perché non siano mezzi preti e mezzi laici ma maestri nell’arte del servizio, e ai religiosi:

“Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no. Siete poche, siete pochi, siete quelli che siete. Scegliete le periferie, risvegliate processi, accendete la speranza spenta e fiaccata a una società che è diventata insensibile al dolore degli altri. Non sopravvivere, vivere!”.

“Vi saluto e vi ringrazio per la calorosa accoglienza. La nebbia se ne è andata”. Prima di partire alla volta del carcere di S. Vittore – circa due ore di permanenza su dieci ore di durata complessiva del viaggio pastorale – Francesco recita l’Angelus sul sagrato del Duomo, con il sole che abbaglia la “Madunina”.

Poi diventa il primo Papa a varcare la soglia della Casa Circondariale costruita nel 1879, e ora “abitata” da 893 detenuti (ma i posti regolamentari sarebbero 703). Francesco pranza con 100 carcerati nel terzo raggio, li saluta uno ad uno. Per la prima volta nei suoi viaggi, ha scelto di non fare il breve riposo pomeridiano nell’arcivescovado, ma nella stanza adibita per il cappellano.
“Si specula sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia. Si specula sui poveri e sui migranti; si specula sui giovani e sul loro futuro”.
È un grido accorato, ma intriso di realismo, quello del Papa dal Parco di Monza. All’origine di tutto, un paradosso:
“Quando tutto si accelera per costruire – in teoria – una società migliore, alla fine non si ha tempo per niente e per nessuno”.
Prima di congedarsi e di ripartire alla volta di Roma, l’incontro allo stadio di San Siro con i cresimati, in cui il Papa ha chiesto ai ragazzi di parlare con i nonni, giocare con gli amici e andare in parrocchia e all’oratorio, per crescere nella fede. Ai genitori, un consiglio: “dominguear”, come si dice in spagnolo, cioè “fare domenica” passando più tempo insieme, prima a Messa e poi magari al parco. Agli educatori, l’invito a usare testa, mani e cuore. “Mai più bullismo”, l’appello finale: “Non fare mai questo e non permettere mai che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere”.

M. Michela Nicolais

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