Se c’è un modo per riconoscere il grado di civiltà di una comunità umana sta nella sua capacità di accogliere e non far soffrire i più deboli. Più volte il Papa ha indicato nei bambini e negli anziani i due poli di questa immensa debolezza e ha chiesto di fare spazio per loro.
In questo Natale del 2014 ha voluto, sulle orme del bambino di Betlemme soffermarsi sui bimbi, partendo dal gesto che segnala, manifesta la sofferenza: il pianto. E lo ha fatto evocando un’immagine inconsueta: “Le lacrime di Gesù bambino”. Un rinvio inconsueto a una cultura e a un sentimento antichi. Solo sulla bocca delle nostre mamme dell’altro secolo ricordiamo un’espressione simile: “Non far piangere Gesù Bambino”. Magari rivolta al bimbo che faceva i capricci o si comportava male.
Sì, c’è qualcosa di antico in quell’espressione, ma di maledettamente moderno per la storia civile di oggi e delle nazioni a cui il Papa si è rivolto nel messaggio Urbi et Orbi del giorno di Natale. Secondo il nostro stile (abbiamo scelto di non fare l’esegesi delle parole del Papa perché parlano da sole), ci limitiamo a proporle alla riflessione di noi tutti perché ci interroghino: “Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!”.
E ancora: “Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode”.
Chi sono gli attuali Erode? Proviamo a guardare dentro noi stessi e attorno a noi.
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