Il progetto è di piantare, entro aprile del prossimo anno, 365mila alberi in vari luoghi di Nairobi. Tra questi, il campus dell’università cattolica Tangaza, ma soprattutto un terreno di oltre 280 ettari nei pressi dello stadio di Kasarani, dove il 27 novembre si terrà l’incontro di Francesco con i giovani kenyani
Una foresta per Papa Francesco. Si può sintetizzare così l’iniziativa lanciata dall’organizzazione non governativa Mother Earth Network, di Nairobi, guidata dai frati Francescani della capitale kenyana. La città sarà una delle tappe del viaggio del Pontefice in tre nazioni africane – Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana – previsto alla fine di questo mese e Mother Earth ha deciso di rilanciare, per l’occasione, il messaggio dell’enciclica “Laudato Si’”, fortemente attuale per il paese.
Migliaia di alberi. “Vorremmo vedere le iniziative del Papa diffondersi in tutto il mondo. Il pianeta è in pericolo: il cambiamento climatico, l’inquinamento, la deforestazione, i rischi per l’aria e l’acqua, per la salute e la vita, sono tra le questioni più urgenti da sollevare”, ha spiegato fra’ Hermann Borg, presidente dell’organizzazione, presentando l’iniziativa lanciata nell’imminenza del viaggio papale. Il progetto è di piantare, entro aprile del prossimo anno, 365mila alberi in vari luoghi della città. Tra questi, il campus dell’università cattolica Tangaza, ma soprattutto un terreno di oltre 280 ettari nei pressi dello stadio di Kasarani, dove il 27 novembre si terrà l’incontro di Francesco con i giovani kenyani. “La visita papale – ha proseguito fra’ Borg – è una buona occasione di promuovere l’attività di piantare alberi a Kasarani e di farla diventare una questione di interesse pubblico”. La mobilitazione dei francescani e delle altre organizzazioni della società civile che aderiscono a Mother Earth, infatti, non è solo simbolica:
“la questione dell’inquinamento atmosferico, a Nairobi come in tutto il paese, ha un’importanza enorme”.
L’aria della capitale (che paradossalmente ospita la sede del programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) contiene, secondo una recente ricerca dell’Università di Göteborg, una concentrazione di elementi cancerogeni dieci volte superiore ai limiti indicati dall’Organizzazione mondiale della Sanità e i problemi respiratori, con oltre 14 milioni di casi registrati nel 2013, sono la principale causa di malattie in Kenya.
Pagano i poveri. L’impatto feroce sull’ambiente è una delle tante conseguenze di quello sviluppo economico allo stesso tempo rapido e disordinato che il Kenya, come numerosi stati del continente, sta vivendo. Un altro sintomo sono gli “insediamenti informali”, le bidonville che già raggruppano circa la metà della popolazione di Nairobi: nascono e crescono, tra l’altro, nei pressi di impianti industriali o altre strutture che richiedono manodopera poco qualificata. È così che
“i poveri pagano una volta di più il prezzo dello sviluppo, anche in termini ambientali e di salute”
Uno dei casi più recenti, fuori dalla capitale, è quello di un impianto per la fusione del piombo, nei pressi della baraccopoli di Owino Uhuru, a Mombasa, che ha provocato vari casi di avvelenamento. Ma anche a Nairobi gli esempi non mancano: si va dall’area di Baba Dogo, dove a finire al centro delle critiche per i fumi inquinanti è stata la fabbrica di cosmetici PZ Cussons, al caso ormai storico dello slum di Korogocho, dove il terreno e le falde acquifere sono state avvelenate dalla discarica fuorilegge di Dandora. “I nostri figli, e i figli dei nostri figli – ha detto ancora fra’ Borg presentando l’iniziativa della foresta da piantare per il Papa – vogliono vivere in un mondo in cui valga la pena abitare e questo è ciò che la campagna si propone di raggiungere, creando un futuro sostenibile per tutte le generazioni”.
Questione aperta. Sicurezza ambientale, in effetti, vuol dire anche sicurezza dei propri diritti in quanto famiglie e comunità. In tutto il Kenya, la questione è estremamente attuale: coinvolge ad esempio le popolazioni dell’area del lago Turkana, dove la scoperta di giacimenti di petrolio ha portato con sé promesse di sviluppo insieme a rischi di stravolgimenti dell’ecosistema e del modo di vita tradizionale. Ma anche lungo le frontiere con Uganda ed Etiopia, la competizione per risorse sempre più scarse, in particolare acqua e pascoli ha provocato frequenti scontri tra le popolazioni che vivono ai due lati del confine. Questioni che devono essere affrontate a più di un livello, proprio come, a Nairobi, intende fare Mother Earth, il cui appello alla mobilitazione è rivolto “agli uomini di buona volontà, alle istituzioni di governo, a chi ha posizioni di comando e di autorità” in ogni ambito.
Davide Maggiore