Scompare Paolo Villaggio a 84 anni. Attore comico tra teatro, televisione e tanto cinema con Monicelli, Steno, Fellini e Olmi. Rimarrà nella memoria comune il personaggio tenero e grottesco del rag. Ugo Fantozzi, emblema della sudditanza dell’impiegato moderno.
È uscito di scena in punta di piedi, senza raccogliere l’ultimo applauso, Paolo Villaggio, attore che ha aperto la strada a una nuova comicità cinematografica negli anni ‘70 e ‘80, ideando e sagomando l’emblematica figura del rag. Ugo Fantozzi. Nato a Genova il 30 dicembre 1932, Villaggio si è spento a Roma all’età di 84 anni dopo un periodo di malattia. Nella sua vita artistica ha lavorato prima nel cabaret, cui sono seguiti poi la televisione, muovendosi sempre nelle stesse corde comiche emerse nel periodo teatrale, e il cinema, di cui è stato un protagonista di primo piano alternando film comici a storie più drammatiche.
La maschera comica di Fantozzi
Non tutti sanno che la figura del rag. Ugo Fantozzi nasce dalla sua penna, dai racconti pubblicati nel libro “Fantozzi” nel 1971. L’idea affonda le radici nella sua esperienza professionale come impiegato all’Italsider di Genova, dove osserva il microcosmo lavorativo e lo mette in commedia sottolineando i tanti vizi e le poche virtù del mondo dei colletti bianchi.
Il personaggio di Fantozzi trova poi vita cinematografica grazie alla collaborazione con il regista Luciano Salce; nel 1975 viene realizzato infatti il primo film, “Fantozzi”, seguito poi da “Il secondo tragico Fantozzi” nel 1976. Cambia poi la regia con il decennio ‘80 e Neri Parenti si metterà al timone della macchina fantozziana dirigendo i successivi: da “Fantozzi contro tutti” (1980) a “Fantozzi subisce ancora” (1983), passando per “Fantozzi va in pensione” (1988) fino agli ultimi episodi “Fantozzi in paradiso” (1993) e “Fantozzi. Il ritorno” (1996). Si ricorda inoltre il tentativo di riproporre la parabola dello sfortunato ragioniere con “Fantozzi 2000. La clonazione” (1999) con la regia di Domenico Saverni.
Al di là dell’evoluzione narrativa del personaggio e del suo mondo di appartenenza, tra nucleo familiare – la moglie Pina (interpretata da Liù Bosisio e Milena Vukotic) e la figlia Mariangela (Plinio Fernando) – e colleghi di ufficio, su tutti Filini (Gigi Reder) e la signorina Silvani (Anna Mazzamauro), la maschera di Fantozzi è divenuta da subito emblematica dell’universo amaro dell’impiegato medio, tra sogni e aspirazioni. Il rag. Fantozzi affronta una sequela di umiliazioni, dai propri superiori ma anche dai colleghi sgomitanti. È sostanzialmente un outsider in cerca inclusione e senso di appartenenza.
Con un umorismo anche fortemente fisico, ai limiti del grottesco, Paolo Villaggio con la saga di Fantozzi ha tratteggiato un modello narrativo unico nel panorama nazionale.
Enrico Vanzina, raggiunto al telefono dall’Agenzia Sir, lo ricorda infatti così: “Fantozzi e in generale i personaggi di Villaggio sono molto diversi da quelli della classica commedia all’italiana. Lui aveva scelto il modello internazionale, unendo battute graffianti a una comicità fisica alla Charlie Chaplin, Buster Keaton o Jacques Tati. Incantava tutti, dagli stranieri ai bambini. Impersonava il perdente, che però faceva letteralmente morir dal ridere. Non ce ne sono altri come lui”.
Professione comico, ma non solo
Oltre all’immediata associazione con la figura di Ugo Fantozzi, va ricordato però che la carriera artistica di Paolo Villaggio vanta una varietà di personaggi e collaborazioni. Anzitutto al periodo teatrale e televisivo (tra i tanti, “Quelli della domenica”, Programma nazionale), negli anni ‘60, risalgono diverse maschere tra cui il Prof. Kranz e Giandomenico Fracchia. La sua comicità viene poi valorizzata sul grande schermo, in primis da Mario Monicelli con “Brancaleone alle crociate” (1970) e da Steno (Stefano Vanzina), di cui il figlio Enrico sottolinea: “Papà ha fatto tre film con lui – ‘Tre tigri contro tre tigri’, ‘Dottor Jekyll e gentile signora’ e ‘Bonnie e Clyde all’italiana’ – e si intendevano a meraviglia essendo molto simili, da veri umoristi senza superbia”.
Nella lunga carriera artistica, Paolo Villaggio ha collaborato anche con importanti autori del cinema italiano, sperimentando registri diversi rispetto alla commedia. È stato diretto da: Marco Ferreri in “Non toccare la donna bianca” (1974), Federico Fellini in “La voce della Luna” (1989, David di Donatello come miglio attore); ancora, Lina Wertmüller in “Io speriamo che me la cavo” (1992) ed Ermanno Olmi ne “Il segreto del bosco vecchio” (1993, Nastro d’argento come miglior interprete). Le ultime apparizioni da sottolineare sono con Massimo Venier in “Generazione 1000 euro” (2009) e con Francesca Archibugi per “Questioni di cuore” (2009).
Film, dunque, che testimoniano eclettismo e curiosità culturale, anche fuori dai canoni della commedia, dove comunque Villaggio rimane un punto di riferimento.
Proprio su questo Enrico Vanzina sottolinea come Paolo Villaggio fosse contraddistinto da “stupefacente intelligenza e capacità critica, nonché umorismo. Da intellettuale ha preferito rimanere accanto al pubblico”.
Massimo Giraldi, Sergio Perugini
Commissione nazionale valutazione film Cei