Il 27 aprile 2014 – Domenica II di Pasqua, della Divina Misericordia – sarà il giorno fortemente desiderato della canonizzazione di due Papi che hanno segnato la storia della Chiesa e del mondo negli ultimi cinquant’anni, entrando nel cuore di credenti e non credenti. Sorge una domanda: perché proprio in quella festa?
Perché non prima? Perché prolungare l’attesa e il desiderio di milioni di fedeli per ulteriori sette mesi? La risposta la troviamo nella mente e nel cuore di Papa Francesco, che ha scelto come motto del suo ministero “Miserando et eligendo” e nella recente intervista a “La Civiltà Cattolica” ha dichiarato prioritaria per la Chiesa “la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli”, indicando ripetutamente ai confessori il dovere di essere “anzitutto ministri di misericordia”. Papa Francesco si sente in piena sintonia con i suoi due predecessori, vedendo in essi dei grandi testimoni ed evangelizzatori della misericordia divina. Per questo, proprio per questo, vuole che la loro elevazione alla gloria degli altari avvenga in quel giorno che, per volontà di Giovanni Paolo II, è la celebrazione solenne della Misericordia di Dio manifestatasi nella passione, morte e risurrezione di Gesù. Ma che cosa accomuna Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II come Papi della misericordia? Ecco: in modi diversi, con stili differenti, in momenti storici mutati, quei due Papi hanno saputo rappresentare al vivo i mille colori dell’amore del Padre che attende il figlio prodigo e poi gli corre incontro per abbracciarlo. Se Giovanni XXIII ha manifestato la tenerezza di Dio – come dimenticare quel discorso della luna che si affaccia dal cielo per vedere i suoi figli: 11 ottobre 1962 – Giovanni Paolo II ha reso presente la forza dell’amore di quel Pastore che instancabile percorre le strade del mondo fino allo stremo della propria vita per raccogliere i suoi figli dispersi. Se Giovanni XXIII assume i tratti del volto di Gesù che chiama: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi”, Giovanni Paolo II manifesta l’immagine di quel pastore che lascia le novantanove pecore nell’ovile per andare decisamente a cercare su tutte le strade del mondo la pecora che si è perduta e che poi se la carica sulle spalle per riportarla all’ovile. Due uomini, due Papi che hanno segnato la storia. Personalità grandi, diverse, eppure collegate dal filo d’oro della testimonianza della misericordia di Dio, amore che perdona, che unisce, che fa Chiesa. Sintetizzabili in due momenti. 11 ottobre 1962, giorno dell’inizio del Concilio Vaticano II: Papa Giovanni saluta il suo popolo: “Cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli”. Morirà otto mesi dopo il 3 giugno 1963, mentre il popolo, segnato dall’amore misericordioso del Padre celeste di cui ha intravisto il volto in quello del “Papa buono” invade piazza San Pietro, inginocchiandosi sui sampietrini bagnati per accompagnarlo all’ovile eterno. 2 aprile 2005: Giovanni Paolo II, morente, sente la presenza della grande folla che in piazza San Pietro prega per lui: è consapevole di essere il buon pastore che ha raccolto accanto a sé le sue pecorelle: “Vi ho cercato. Adesso voi siete venuti da me. E di questo vi ringrazio”. Tutto è compiuto: il gregge è stretto accanto a lui. Ora il pastore è felice: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”. Due pastori, due testimoni della misericordia di Dio: nessun buon pastore può morire in solitudine; le braccia amorose del Padre celeste lo accolgono, innalzato fino al cielo dalle braccia dei suoi figli ai quali ha annunciato l’amore infinito di Dio.
Vincenzo Rini