Fondamentale il ruolo della Fondazione Stava 1985 che riunisce i famigliari delle 268 vittime travolte dal fango. La settimana scorsa, a Strasburgo, inaugurata una mostra alla quale hanno partecipato molti emigrati italiani. Nei prossimi giorni previsti convegni con momenti formativi per geologi e ingegneri geotecnici
Chi sale e scende l’accogliente valletta di Stava – l’inverno per sciare all’Alpe di Pampeago o d’estate per godere il fresco della val di Fiemme – spesso non sa che il 19 luglio di trent’anni fa in questo paradiso dolomitico morirono 268 persone, con tanti turisti e famiglie intere. Non immaginano cosa avvenne alle 12.22 quando si scatenò un inferno di fango e terra: dal crollo improvviso di due bacini di decantazione delle miniere di fluorite in località Prestavel un’onda assassina di 180 metri cubi di materiale travolse 53 case e due alberghi, 6 capannoni, 8 ponti. Un lungo e sofferto processo definì qualche anno dopo le responsabilità di progettisti e manutentori, poi qualche libro, un film e perfino un documentario del National Geographic ricostruirono le immagini di quella tragedia “annunciata”: i nonni del paese avevano segnalato che in quell’area non si doveva costruire.
I villeggianti di oggi, ignari scopritori del fascino naturale della valle di Stava, si possono però rendere conto di questo doloroso passato quando fermano l’automobile e rendono omaggio alle vittime nel cimitero di San Leonardo a Tesero oppure se dedicano la visita di qualche minuto al Centro di Documentazione allestito in mezzo alla valle dalla Fondazione Stava 1985. Da qualche anno c’è anche un percorso di circa tre ore a monte dell’abitato, proprio là dove si trovavano le miniere, che consente di capire come si sono svolti i fatti: “Accompagno durante l’anno tante scolaresche – ci spiega Michele Longo, segretario e guida del Centro – e mi rendo conto quanto la lezione di allora riesca a far cogliere il dovere della responsabilità individuale, aziendale e comunitaria che dovrebbe stare dietro ogni intervento sull’ambiente”.
Ha solo 28 anni la fresca sindaca di Tesero, Elena Ceschini, non era ancora nata il giorno della tragedia. “Me ne hanno sempre parlato i miei genitori. Per tutto la comunità – anche per chi non ha avuto perdite di parenti – sarà anche un anniversario di dolore ed il Comune vuol continuare a favorire una memoria attiva in grado di rendere coscienti le giovani generazioni di quanto questa tragedia ha insegnato”.
Un bilancio non è facile, anche perché dopo Stava ci sono state nel mondo altre 55 tragedie simili, anche più gravi, delle quali ben 9 in Europa. Dalla vicenda trentina e dalle altre i parlamentari europei sono arrivati dieci anni fa a trarre insegnamento per una direttiva Ue che fissa le norme per la gestione dei residui sterili delle attività estrattive e anche per la definitiva rimozione delle discariche abbandonate. Ma il problema resta di proporzioni gigantesche se si pensa che il volume annuo dei rifiuti di attività estrattiva in Europa è di 400 milioni di tonnellate, il 30 per cento del totale dei rifiuti europei. Conseguenze disastrose per l’ambiente ci sono state anche nell’ultimo incidente avvenuto il 4 novembre 2012 in Finlandia: “Lo studio di questi avvenimenti rende ancora più forti i richiami che Papa Francesco ci ha indicato nella sua enciclica, alla quale dedicheremo un convegno venerdì 17 luglio nel ricordo della visita che Giovanni Paolo II fece a Tesero nel 1988”, afferma Graziano Lucchi, presidente della Fondazione Stava 1985, che riunisce i famigliari delle vittime. La settimana scorsa a Strasburgo ha inaugurato una mostra, alla quale hanno partecipato molti emigrati italiani e nei prossimi giorni interverrà nei convegni con momenti formativi per geologi e ingegneri geotecnici promossi nel trentennale di Stava.
Diego Andreatta