Ogni anno, la nostra comunità ecclesiale, festeggiando gli anniversari di ordinazione sacerdotale dei propri Pastori, eleva a Dio preghiere di ringraziamento perché consapevole che, nel dono del sacerdozio ministeriale, essa cresce, si edifica e trova nei suoi parroci il riferimento per essere davvero in comunione con Lui e i fratelli.
La ricorrenza del IV anniversario di ordinazione sacerdotale del nostro giovane vicario parrocchiale della Matrice di Giarre, don Daniele Raciti, di cui tutti ci sentiamo orgogliosi, non solo perché è “giarrese” e figlio della nostra comunità, ma soprattutto perché presta un servizio secondo il cuore di Dio, mi ha spinta a riflettere sul grande dono di Dio che è il sacerdote per l’umanità e per una Chiesa alla ricerca di Dio.
Riflettendo, ho capito che egli è veramente il tramite tra il finito e l’infinito, il mediatore tra Dio e l’uomo, colui che, come diceva S.Pio, “trattiene il braccio di Dio con una mano e con l’altra invita il fratello a gettare via il male, a tornare sulla retta via, perché senza Dio non c’è pace e gioia”.
Quale riconoscenza dovrebbe avere il popolo di Dio verso i presbiteri che, come strumenti dell’amore misericordioso dell’Eterno Padre, dissodano il terreno arido, sassoso e piano di rovi dei nostri cuori! E proprio pensando a questa presenza, dono di Dio nella nostra Comunità, ho ripreso in mano il testo dei Sedici Documenti promulgati dal Concilio Vaticano II, e ho riletto il decreto “Presbyterorum Ordinis”.
Nella luce della fede ho visto, innanzitutto, il sacerdozio come dono di servizio alla comunità, e noi cristiani sappiamo che i doni più grandi sono quelli che si avvicinano maggiormente al dono per eccellenza che è la persona del Cristo, venuto per servire e non per essere servito, venuto per dare la sua vita, per offrirsi cibo e bevanda per i fratelli.
A chi, per caso, l’avesse dimenticato, mi è gradito ricordare che il sacerdote nella comunità è presenza di Cristo, è luce che illumina e traccia la strada da percorrere ad ogni uomo che incontra nel suo cammino, per cui bisogna amarlo e rispettarlo. A mio avviso, noi laici, credenti e pensanti, abbiamo il dovere di prendere coscienza del debito che abbiamo nei confronti dei nostri Pastori (Presbyterorum Ordinis, 9).
Ritengo cosa buona e giusta trattarli con amore filiale, come Pastori e Padri, aiutandoli con la nostra preghiera e l’azione, in modo che essi possano superare le eventuali difficoltà e assolvere il loro compito di educatori, di maestri nella fede operosa. E’ giunto il momento che noi laici ci abituiamo a lavorare nelle nostre comunità, intimamente uniti ai nostri Pastori e senza mai voler prevalere o sostituirci, senza mai dimenticare che la nostra vocazione laicale è diversa da quella dei Sacri Ministri.
Se riteniamo giusto che i sacerdoti guardino con fiducia ai laici impegnati e formati alla scuola del Vangelo, è altrettanto giusto saper accettare le correzioni, è segno di maturità.
Ringrazio a nome di tutta la Comunità, il nostro carissimo arciprete, don Domenico Massimino, e il nostro vicario, don Daniele Raciti per averci evidenziato quelle forze che portano a creare quella comunione che fa sempre condividere, collaborare e ci rendere corresponsabili nella nuova evangelizzazione, perché diventiamo consapevoli che l’uomo del nostro tempo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri lo fa perché testimoni.
Nerina Melita Rapisarda
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