Immigrati: l’estate non implichi indifferenza

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Proseguono senza sosta gli sbarchi a Lampedusa. Un barcone con oltre 200 migranti a bordo è approdato questa mattina nel molo di Cala Pisana. Saranno trasferiti nel centro di Contrada Imbriacola e nell’ex base Loran, dopo il trasferimento con la nave, avvenuto ieri, di 456 profughi in altre regioni italiane. Tra il 13 e il 14 agosto a Lampedusa sono sbarcati complessivamente oltre 2 mila immigrati. Nei due centri lampedusani si trovano ancora 1180 migranti. Ne abbiamo parlato con mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Ancora sbarchi a Lampedusa, con migliaia di nuove presenze sul territorio italiano.

 In periodo di vacanze si rischia di dimenticare il prolungarsi di questa emergenza umanitaria? “Effettivamente si rischia che i nuovi sbarchi, queste storie di sofferenza umana, passino in secondo piano, anche rispetto alla crisi che stiamo vivendo. Invece questo dramma sta crescendo: sono oltre 50.000 le persone sbarcate dall’inizio del 2011, soprattutto a causa della carestia nel Corno d’Africa, del conflitto in Libia e delle conseguenze di guerre civili dimenticate. Durante le vacanze è importante che le nostre comunità cristiane si lascino interpellare da questa provocazione forte all’apertura e all’accoglienza, che vivremo anche in occasione della Giornata per la salvaguardia del creato che si celebra il 1° settembre. Molti rifugiati fuggono infatti dai propri Paesi perché la realtà in cui vivono è stata distrutta da situazioni ambientali di sfruttamento. Per i cristiani non può venir meno l’attenzione forte a questa realtà. Ancora una volta ci è chiesto un supplemento di accoglienza e la capacità di trovare spazi e momenti per far crescere una cultura di attenzione nei confronti dell’altro”.

Rispetto alle scorse estati gli sbarchi sono più numerosi? Si potrebbero aprire scenari peggiori? “Certamente durante l’estate le condizioni climatiche favoriscono ogni anno l’aumento degli sbarchi, ma non con queste dimensioni. I continui arrivi di persone segnalano che il dramma è ancora grave e deve interpellare fortemente l’Europa. Anche rispetto alla guerra in Libia, sulla quale è caduta un po’ l’attenzione, ma che può invece ulteriormente ingenerare nuove situazioni in insicurezza e fuga. Ossia potrebbero partire non solo gli africani subsahariani, ma anche gli stessi cittadini libici”. Una disattenzione che rischia di rendere croniche le situazioni, senza troppi tentativi di risoluzione… “Esatto. Non si può accettare una guerra scoppiata senza nessuna attenzione alle strade diplomatiche, non si può fare finta di non vedere il dramma di persone in fuga da carestia, siccità, guerre”.

Servirebbero canali umanitari appositi? “Serve uno sforzo maggiore in queste direzioni: uno sforzo diplomatico sul piano europeo perché ci sia una lettura d’insieme della situazione sul piano politico e la capacità di riorganizzare l’accoglienza oggi necessaria di fronte a nuovi arrivi di migliaia di persone. Certamente dei canali umanitari eviterebbero tragedie di centinaia di morti in mare, come abbiamo visto in questi mesi. Servono strade, risorse e una accoglienza ben organizzata, anche per evitare situazioni di irregolarità che portano a sfruttamento, nuove forme di tratta e di violenza”.

Dopo il caos degli inizi, come le sembra stia lavorando la macchina organizzativa, a Lampedusa e nei territori? “La macchina organizzativa a Lampedusa è attualmente rodata. Il problema oggi si è spostato sui territori locali, dove le risorse delle rette non arrivano o arrivano in ritardo. Le nostre associazioni e realtà aperte all’accoglienza faticano a sostenere la situazione. Sul piano culturale e sociale si deve ancora fare molto. Bisogna educare la gente, fare in modo che tutti si sentano investiti dell’accoglienza, non solo le associazioni o la Caritas. C’è il problema del dopo-accoglienza, dell’integrazione, per la quale non sono state impegnate risorse. È dunque necessaria una riflessione su come implementare fattivamente questo percorso di integrazione, sul piano delle risorse e sul piano della sensibilizzazione. Tutti devono sentirsi responsabilizzati a dare il proprio contributo, a partire dal mondo della scuola, del lavoro. Anche perché queste persone sono regolarmente presenti in Italia con un permesso umanitario, sono richiedenti asilo e rifugiati. Serve una rete istituzionale, magari attraverso i consigli territoriali e le prefetture, attenta a creare percorsi di integrazione che non siano solo sulla carta, ma attraverso l’impegno di tutti sul territorio”.

 Intanto i giovani cattolici sono riuniti a Madrid per la Gmg: quali auspici perché sentano il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza come una sfida della storia che li interpella? “La Gmg è una grande occasione per far incontrare giovani di tutto il mondo ed educare all’altro. I giovani possono diventare una grande risorsa per superare le conflittualità degli adulti su questi temi. Il fatto che solo 2 giovani su 10 in Europa hanno paura degli immigrati (contro il dato più elevato di 6 adulti su 10), vuol dire che i giovani possono essere un punto forte per costruire una cultura della responsabilità sociale e dell’accoglienza. I giovani ci fanno sperare in una società più aperta e più attenta. Il tema degli sbarchi interessa moltissimo anche la Spagna, con la quale condividiamo una storia di immigrazione recente (con oltre 5 milioni di immigrati in ciascun Paese) e una crisi economica che rischia di pesare anche sull’immigrazione. Spero che la Gmg sia una occasione importante per riportare all’attenzione dei giovani anche i temi della mobilità umana”.

SIR